Fiori sopra l’inferno
- Autore: Ilaria Tuti
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Longanesi
- Anno di pubblicazione: 2018
Una scrittura ricca, originale. Uno stile insolito, unico. L’avvio di ogni capitolo è curato attentamente, come se ognuno fosse l’incipit di un romanzo. Ilaria Tuti è una bella sorpresa. Debutta con un thriller, “Fiori sopra l’inferno”, novità Longanesi, (gennaio 2018, pp. 372, euro 16,90).
Ilaria è di Gemona, una friulana che prima di fare centro con la narrativa ha fatto di tutto per ostacolare le sue aspirazioni. Adora il mare e vive in montagna. Sognava di fare la fotografa e ha studiato Economia. Ama la pittura ma scrive polizieschi, come questo. Del resto Ilaria Tuti ha una passione per le trame gialle di Donato Carrisi e per una volta non ha tradito quello che la attrae. Il suo romanzo si fa classificare nel sottogenere psico-thriller, ma non è privo d’azione e in qualche momento diventa perfino spiritoso, condito com’è con una buona dose di ironia.
Ilaria Tuti era solo una giovane aspirante scrittrice, un anno fa, quando ha conquistato tutti in Longanesi col suo manoscritto. Poi ha fatto letteralmente il botto nella Fiera del Libro di Francoforte, assicurandosi la diffusione in una ventina di grandi Paesi. Niente male per un’esordiente, un debutto coi fuochi d’artificio, come quello del suo sorprendente personaggio, il commissario Battaglia, figura ricca di carattere e di dettagli.
Ecco come Ilaria Tuti lo presenta, attraverso l’ispettore Massimo Marini, che si sta aggregando al Commissariato di provincia, sulle montagne. Il nuovo arrivato è giovane, elegante, profumato, e si morde le mani, si è presentato in ritardo giusto il primo giorno di servizio nella nuova sede. Cinque minuti appena, ma sono bastati perché tutti andassero via, per raggiungere il luogo dov’è stato segnalato un cadavere, a qualche chilometro dall’abitato di Travenì.
Dopo una serie di pericolose giravolte tra ghiaccio e tornanti, Marini raggiunge il posto, vede da lontano un gruppo di persone e si fa indicare quale sia il commissario Battaglia. È là, gli conferma il poliziotto rimasto di piantone tra le volanti, agitando un braccio di sfuggita.
Dev’essere quel tizio sui quarant’anni, alto poco meno di lui, carnagione scura e sigaretta tra le labbra, che sta parlando con una vecchia, certo una testimone, capelli a caschetto di un rosso innaturale, fisico tozzo e fianchi robusti “ingabbanati” in un giaccone lungo quasi fino ai piedi. Un berretto di lana tempestato di lustrini schiaccia sugli occhi una frangetta sbarazzina che non c’entra niente col viso segnato dall’età e da una durezza che fa immaginare un carattere spigoloso. Voce roca, occhi penetranti, labbra sottili e nervose.
Mentre l’uomo che credeva essere il capo gli stringe la mano, presentandosi come l’agente Parisi, Massimo cerca di formulare mentalmente delle scuse. Da parte sua, il commissario Teresa Battaglia lo guarda come
“una cacca attaccata alla suola di qualcun altro”.
La vittima sembra più tonica della funzionaria anziana. Teresa non si sente in forma, troppi giorni sulle ginocchia per guardare da presso chi era in terra o troppi chili da smaltire o troppi anni sulle spalle. Ne ha sessanta, è specializzata in profiling, ma questa volta l’assassino non si lascia inquadrare facilmente. Ha colpito solo al volto. Il corpo è nudo. Ha spogliato con cura il malcapitato, lo ha disteso a terra, ha disposto intorno delle trappole per assicurarsi che la polizia potesse trovarlo integro, risparmiato dagli animali selvatici. I vestiti sono serviti a confezionare uno spaventapasseri, poco distante. Un feticcio, con bacche al posto degli occhi, mancanti anche dalle orbite del cadavere.
Le ferite al capo non hanno provocato la morte all’istante. L’agonia è stata lunga, l’assassino è rimasto a seguirla oppure è tornato per preparare la messinscena immaginata. Ha agito da solo, ma è come se il delitto fosse stato commesso da due persone diverse, una lucida, metodica, che ha sistemato il corpo per dare un messaggio, l’altra totalmente disorganizzata, quasi animalesca. Ha aggredito non lontano da un sentiero, senza preoccuparsi di poter essere in vista, come se l’omicidio fosse frutto di un raptus. Ha lasciato impronte ovunque, incurante di qualsiasi precauzione.
In alternanza col racconto, efficace, delle indagini e quello, brillante, delle disavventure del giovane ispettore preso di mira dal ruvido commissario, si apprende di qualcosa di sinistro, un “nido” con misteriosi soggetti in un edificio spettrale, nel 1978, in Austria, la “Scuola”.
E si segue un gruppo di ragazzini sui dieci anni. Mathias è il capo e si impegna a meritare il ruolo. Diego, il rivale, è figlio dell’ucciso, la mamma è fredda, anaffettiva, ma il ragazzino pur sempre irreggimentato, sa come guadagnarsi un po’ di libertà. Lucia è femminuccia, ma è forte, coraggiosa e sicura di aver visto uno spettro, che la scrutava dalla foresta. Se lo dice lei c’è da crederle: ha un teschio bianco e lucido al posto del viso, beve ogni notte il latte che lei gli lascia fuori casa, in una ciotola.
Si potrebbe continuare a raccontare, perché questa è una storia che prende e che si fa leggere. Di Ilaria Tuti e di Teresa Battaglia sentiremo parlare presto. Ancora e ancora.
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