Fuori dal cuore, dentro il frigo
- Autore: Davide Allegrini
- Categoria: Poesia
Ho conosciuto al bar Davide Allegrini, il cantore di Fuori dal cuore, dentro il frigo, un libro del 2007 che immagino vivo, essendo vivo l’inchiostro di un poeta spontaneo che ha le “dita al sapore di parole”.
Ancora oggi, d’altronde, tra una birra e uno sfolgorio, le poesie di Davide insistono a sbocciare, in un sussurrio naturale, sfiorando i nervi, già addolciti dall’alcol; ancora oggi è possibile scoprirlo dietro il bancone a mescolare con arcaica sapienza ispirazione e sudore, dolcezza e durezza, espressione e impressione. Così mi è facile pensare all’artista in un silenzio intervallato che veste i carmi d’innocente irrealtà in un linguaggio, all’apparenza semplice, a tratti gergale, che forse cela influenze bukowschiane (e forse carveriane). Un senso concretissimo dell’amore immerge il lettore entro una sostanza ove i tempi danzano in un gioco immobile. L’amore sempre-stato che si esercita confermandosi nelle stesse impassibili gambe di Jenny, bramata in eterno. L’abissale tristezza alimenta l’empatia intersecandosi a erotici e voluttuosi inni all’amore senza mai degradare in un ipocrita, volgare moralismo. Valori tradizionali come l’affetto per il padre e la nostalgia per la propria terra si declinano in una caleidoscopica prospettiva di pura, religiosa anarchia. Le poesie, vergate nella glaciale e "maledetta" Inghilterra, accanto ad una schietta condanna per il disfacimento fine a se stesso tipico di molti ragazzi nordici (si legga Sempre il solito), evocano da lontano il Sud più infuocato e un’amabile ebbrezza, che spalanca il cuore alla dionisiaca intuizione, al ritorno nel viaggio, a un viaggiare che travalica lo spazio.
Perciò è bello, anche se non lo si conosce di persona, trovare Davide leggendolo; come per me è bello leggere Davide andandolo a trovare; infatti le sue parole sono veramente come la sua casa in campagna, come il suo libero maremmano, i lucidi cavalli, le galline, il fiero gallo, come i colori della sarda terra selvatica, il miele di api primitive, come i narcisi; esse sono il profumo avvolgente di un mare che rifulge nell’asprezza del sale, il sale che si nebulizza nel giallo accecante di un sole contemplativo. Nelle poesie esplodono bolle di sogni, palle di illusioni che risalgono da bicchieri stracolmi d’oro fino a cuori accesi da déi invano assassinati. Lune lontane che saltano da cieli ignoti su orbite desertiche, irraggiandole di oscura luminosità, di abbagliante tenebrosità. E in un miraggio bizzarro che ricorda l’odissea di ogni disperso nel pelago dell’esistenza, si dimenano sincronizzate Olga, la ragazza russa dai colori rosazzurri; Beatrice “con la sua pelle arrossata”; Ginevra “vestita di candida pelle” che “ha il colore della morte” e Jenn, dalla testolina rossastra, che “dà la mattina” e che porta via il cuore con le sue “leve di carne pallida”.
Il mio breve e vano sforzo di raccontare un’opera che riscalda il cuore raffreddandolo s’infrange ora che il sipario si apre introducendovi alla poesia che dà il titolo alla raccolta: Fuori dal cuore, dentro il frigo: Io qui/tra parole che non so dire/che non posso dire/che non vuoi sentire/troppi ti amo/gridati al cielo/per te/il vento non te li ha portati/non li ha voluti/su quella testolina rossastra/ci sono tutti i miei sogni/ma i capelli/te li tingi/quelle labbra morbide/come l’ultima pesca sul ramo/nella tua schiena nuda/c’è l’odore di un prato innevato/e nel tuo cuore/non so che ci sia/perché io sto qui.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Fuori dal cuore, dentro il frigo
Lascia il tuo commento