Fuori dal mondo
- Autore: Ragnar Jónasson
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2019
Pescando a caso tra le novità della biblioteca, esposte a prender polvere nella sede chiusa per il coronavirus, cosa ti vado a scegliere? Un libro che parla di un virus insidioso e di una quarantena: Fuori dal mondo di Ragnar Jónasson (Marsilio, 2019, trad. S. Cosimini). Anche se in questo caso la realtà supera la fantasia, la malattia che serpeggia tra le strade della cittadina di Siglufjörður ha catturato la mia curiosità.
Il titolo originale, che con deformazione professionale da bibliotecaria sono andata a sbirciare sul colophon, è Rof; Google traduttore me lo traspone in italica lingua come "erosione". Lo trovo molto migliore di quello generico e poco personalizzato dato all’edizione italiana, Fuori dal mondo, forse scelto per incomprensibili esigenze di marketing. Esprime in modo calzante l’atmosfera del romanzo, oltre alla sua costruzione letteraria.
L’erosione non è solo il fenomeno che fa crollare gli ultimi ruderi del fiordo, ma è anche quella della memoria, che porta a dimenticare il passato, e poi la corruzione interiore che ghermisce quasi tutti i personaggi di questo giallo e che viene fuori pian piano come un cadavere che affiora da una bruna acqua.
L’erosione non è un crollo violento e rumoroso. Erosione è anche il virus che silenzioso aggredisce i corpi e impone la chiusura di botteghe e attività. Un senso di erosione si ha, infine, leggendo i vari capitoli, brevi, disgregati, che prendono e lasciano le storie, tanti sassolini che scivolano da una montagna, la riducono in pezzi e che il lettore deve concentrarsi, fare uno sforzo notevole per rimettere insieme nel giusto ordine.
Lo stile di questo autore è stato accostato a quello della Christie, di cui è traduttore; sicuramente si tratta di un giallista della migliore tradizione: Ragnar Jónasson, per quanto giovane, è certamente "scafato", membro della UK Crime Writers’ Association. Come nella scrittrice inglese, anche qui tantissimi personaggi, tutti ben delineati, indizi dispersi nei dialoghi, nelle immagini, colpi di scena. Ma non bisogna dimenticarsi che questo libro è opera di un islandese. Già ricordare i nomi dei personaggi e distinguere gli uomini dalle donne è un’impresa, pronunciare le denominazioni delle località è una sfida. In più, come se non bastasse, le storie che si intrecciano sono almeno quattro, più altre minori che gemmano dal tronco principale: il decorso lento e inesorabile del virus che, soprattutto in questo nostro periodo, ci coinvolge particolarmente, il misterioso ratto di un bambino, la morte di un tossicodipendente investito da un’auto e l’avvelenamento (suicidio?), avvenuto più di mezzo secolo prima, di una donna in un’isolata casa che sorgeva nella solitudine profonda di un fiordo.
Ci sono le storie personali dei personaggi, che sono veramente tanti e ciascuno di loro sgomita per il suo spazio. Una cosa è certa, questo non è un libro per un lettore pigro, né un romanzo che si possa gustare poche pagine al giorno, come le vitamine. Deve essere ingollato tutto intero, nello spazio di due o tre giorni, perché bisogna imprimersi nella mente tutti quei nomi di località e di persona, andare avanti nella storia "disordinata" passo dopo passo, mettendola in fila, facendo i conti con la ripetizione ossessiva, nei dialoghi, dei ricordi di questo o quel personaggio, racconti che sembrano identici, però ogni volta si aggiunge qualcosa, fino al colpo di scena finale.
La lingua è asciutta, breve, veloce, proprio come si addice a un libro che deve farti scordare il presente e tenerti compagnia, farti immergere nel suo straniamento a cui contribuiscono anche i simboli strani delle varie denominazioni, che neanche sappiamo come possano suonare se pronunciati. La fine lascia una gran voglia di andare a vedere un fiordo, che custodisce una solitudine diversa da quella che stiamo vivendo oggi, nobile e grande.
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