Gas in Etiopia
- Autore: Simone Belladonna
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Neri Pozza
- Anno di pubblicazione: 2015
“Gas fascisti in Etiopia: si fa ma non si dice”
L’Italia fascista fece largamente uso dei gas in Etiopia, nel 1935-36 (yprite, arsine e lacrimogeni mortali). Ormai, questa pratica bellica condannabile è accertata, ma è rimasta nascosta per decenni. Come è stato possibile? Simone Belladonna, giovane ricercatore appassionato di storia e politica, ricostruisce in un libro per Neri Pozza (2015) il pur abbondante impiego di asfissianti e vescicanti, sotto il controllo diretto di Mussolini, nella guerra per la conquista dell’impero “Gas in Etiopia. I crimini rimossi dell’Italia coloniale” (286 pagine, 19 euro).
Più che dire una parola definitiva sull’adozione o meno di aggressivi chimici, ormai riconosciuta, ci sarebbe da chiedersi come abbia fatto la pettegola Italia a nascondere l’invio di 250 aerei con munizionamento a gas, il 10% dell’intero arsenale aeronautico fascista. Si tratta di 816 tonnellate di bombe a gas. Davvero notevole la capacità di occultare per decenni le relazioni del tenente colonnello Venditti, del Servizio Chimico, che suggerivano concentrazioni e densità maggiori, in territori caratterizzati da periodi di siccità e temperature più elevate rispetto a quelli europei. Per non dire di come sia rimasta segreta la creazione da fine luglio 1935 di una sezione dello stesso Servizio Chimico ad Asmara, con tanto personale da non potersi limitare alla sola gestione dei crudeli ma non interdetti lanciafiamme.
L’impiego invece dei gas era proibito dal Protocollo internazionale di Ginevra del 1925, entrato in vigore nel 1928 e sottoscritto anche dall’Italia. Meglio dire limitato, che vietato, perchè le eccezioni contemplate erano fin troppe.
Dei 50mila proiettili caricati ad arsine e stoccati nel deposito di Amba Gallino, 1367 vennero sparati dall’artiglieria italiana dal 12 al 15 febbraio 1936 contro l’Amba Aradam. Ma nella guerra chimica tricolore in Abissinia il ruolo principale è andato alla bomba aerea C.500.T, caricata a yprite (3300 a disposizione in Etiopia e Somalia) che esplodendo a 500 metri di quota creava una pioggia di goccioline corrosive dal caratteristico odore di senape.
Sull’incidenza dell’arma chimica non c’è unità di vedute. Gli Etiopi la ritennero una delle componenti decisive della sconfitta. La guerra sporca aveva causato a loro dire un gran numero di morti e feriti, demolendo letteralmente la volontà di resistere delle truppe abissine. Gli storici concordano però nel ridurre il peso dei gas sull’esito del conflitto. La vittoria italiana, conseguita in tempi più brevi del previsto e con perdite relativamente modeste, si dovette alla schiacciante superiorità in tutti i campi, in termini di guerra convenzionale.
Sull’effetto, vale per tutte la testimonianza del Negus Hailè Selassiè, che subì ben sette bombardamenti.
“A Quoram, le squadriglie nemiche hanno sorvolato le nostre truppe, i nostri villaggi per intere settimane. Il Paese sembrava sciogliersi. Né gli uomini, né le bestie erano più in grado di respirare. Ogni essere vivente toccato dalla pioggia leggera caduta dagli aerei, che aveva bevuto l’acqua avvelenata o mangiato cibi contaminati, fuggiva urlando e andava a rifugiarsi nelle capanne o nel folto dei boschi per morire”
Ras Immirù testimoniò che dopo il lancio di strani fusti che proiettavano un liquido incolore, i suoi uomini presero a urlare e le loro mani e piedi a coprirsi di vesciche.
Da parte italiana, la letteratura coloniale si era limitata ad ammettere due episodi di rappresaglia, un bombardamento a gas sul Canale Doria, il 24 dicembre 1935 e qualche bomba sganciata fino al 30, per punire il linciaggio di due piloti italiani prigionieri, ad opera di bande irregolari abissine. Le teste erano state staccate dai corpi, montate su picche e portate in giro come macabri trofei.
Che si vogliano efficacissimi o appena efficaci o inutilmente criminali, gli aggressivi chimici vennero comunque abbondantemente adoperati e Mussolini in persona si era riservato la facoltà assoluta di autorizzarne l’impiego. Ciononostante, pur potendo dare la colpa in toto al fascismo, l’Italia repubblicana avviò subito un processo di rimozione del passato coloniale, gas compresi. La propaganda del regime aveva avuto buon gioco nel nascondere, la democrazia volle lo stesso cancellare, per poter avere campo libero nella creazione autoassolutoria del mito del “buon italiano”, imperialista dal volto meno feroce e bonario.
Nella prefazione, lo storico Angelo Del Boca riassume le conclusioni di Belladonna:
“italiani brava gente’ è la massima semplificazione di eventi complessi”
uno schema mentale che ci portiamo ancora dietro, volendo ignorare un passato che ci parla invece di un colonialismo come gli altri
“solo più ignorante e razzista”
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Gas in Etiopia
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