Geografia di un dolore perfetto
- Autore: Enrico Galiano
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Garzanti
- Anno di pubblicazione: 2023
Geografia di un dolore perfetto di Enrico Galiano (Garzanti, 2023) è una Telemachia, anche se Telemaco – che si chiama Pietro nella finzione narrativa – è stato abbandonato da suo padre Nando quando aveva otto anni e si è sempre attribuito la colpa di quell’allontanamento.
Questo romanzo è la storia di un’attesa che diventa un viaggio, intrapreso quando ormai Pietro è da tempo un uomo. È un romanzo di formazione o meglio – come ha rivelato l’autore in una recente presentazione – di “deformazione”, scritto quando la sua formazione era avvenuta da un pezzo.
Questo romanzo è una Telemachia, anche se è la storia di un Ulisse che scappa e di un figlio che lo insegue e viceversa.
È la storia del rapporto dello scrittore con suo padre, ma in questa storia ci sono anche parti inventate che – a detta dello stesso Galiano – sono quasi più vere, perché in quelle è riuscito a dire meglio ciò che voleva dire. I nomi dei personaggi sono volutamente diversi da quelli che sono nella realtà, per trovare il giusto distanziamento nella scrittura.
La situazione iniziale – con la prima scena ambientata in un villaggio vacanze per famiglie – ci presenta Pietro che parte per raggiungere al più presto Tenerife dove un certo Paco, che ha considerato a lungo come un suo secondo padre, sta per morire e vuole vederlo, dato che da ben undici anni dopo una furiosa litigata non si sono più nemmeno sentiti. La tensione narrativa ed emotiva sale progressivamente, perché apprendiamo che Pietro ha la pressante necessità di fare una domanda a Paco prima che muoia e per tutto il viaggio spera di riuscire ad arrivare in tempo.
Il viaggio di Pietro dà la consapevolezza a quel bambino, diventato adulto, che: «si può essere orfani di genitori ancora vivi». Ma questo padre odiato e amato contemporaneamente resta dentro «pur sparendo per anni» e diventa un eroe nei racconti del piccolo Pietro, un ricercatore, un geografo che esplora le più lontane ed esotiche terre; un padre che si è costruito a suo uso e consumo per reagire al dolore dell’abbandono e per nascondere al mondo la sua assenza, perché «quello che fanno i padri: (è) esserci» e non sentirli presenti è come non averli. E un padre, anche se immaginario, può aiutare a vincere quel senso di vergogna che deriva dal credere di non essere voluti.
L’autore ci porta progressivamente nei pensieri, nei sentimenti, nei sogni di un bambino di otto anni che è l’ultimo a imparare ad andare in bici e non riuscirà – nemmeno da adulto – a superare la paura a fare quei tuffi che a suo padre riescono tanto bene. Un bambino che ha sempre paura di disturbare, che vive costantemente un angosciante senso di inferiorità. Un bambino che diventa adulto, ma alle soglie dei trentacinque anni si rende conto che crede ancora a Babbo Natale. Questo viaggio nell’interiorità di Pietro prosegue anche quando il protagonista è ormai adulto e nei suoi ricordi realtà e fantasia si confondono e suo padre, o il suo fantasma, ogni tanto appaiono nella nebbia di gesti, parole e azioni che chissà se ci sono mai stati.
Questo romanzo sa prenderti e lasciarti dentro tanta malinconia, ma anche tanta speranza. Sembra procedere senza grandi o eclatanti “rivelazioni” ma, quando meno te lo aspetti, ti scuote, ti emoziona e ti riempie di meraviglia e ammirazione. Padre e figlio condividono la passione per la geografia e ci portano in terre, isole, città, montagne che diventano la metafora della vita.
E un romanzo che ti insegna cos’è la “spezzanza” o te la fa rivivere se anche tu hai vissuto un abbandono che ti ha lasciato spezzato:
«rotto in qualche punto, come un giocattolo difettoso.»
Questo bel romanzo è una Telemachia, ma lascio a voi scoprire se Pietro, alla fine del suo viaggio, ritroverà suo padre.
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