Ginevra. Parte seconda
- Autore: Franco Cilia
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2015
Indagatore dei meandri del sé, Franco Cilia, lungo la scia segnata dal desiderio dell’Essere di Carmelo Ottaviano, si è rivelato sempre più pittore dell’infinito. Le sue opere più recenti, che trovano radici anche nel viaggio dantesco, mostrano il volo dell’anima purificata dalle scorie che ostacolano la proiezione verso mete elevate. Egli ne avverte l’anelito e indirizza le energie magmatiche all’uso di cromatismi tenui e sfumati che delicatamente danno la visione dello slancio verso la trascendenza. Impegnato in attività multidirezionali, abbraccia più modalità espressive, tra cui un particolare tipo di scrittura colta e fortemente sensoriale. Nella narrativa, dal chiaro intento autobiografico e introspettivo, il colore si congiunge con la parola e si concretizza così la poesia del cuore. L’opera di pregevole fattura, dedicata alla moglie Vanna, s’intitola “Ginevra. Parte seconda” (Aurea Phoenix Edizioni – Ragusa, 2015): romanzo da leggere, pur conservando la sua autonoma e singolare configurazione, come prosecuzione del precedente (“Ginevra”, 2012). Ginevra è la nipote, reale e ideale ad un tempo afferma Totò Stella nel retro di copertina, a cui il nonno, in una sorta di delirio “post-mortem”, affida il testamento spirituale, rendendola partecipe del suo lavorio creativo, nonché del percorso esistenziale lungo il tracciato che si snoda dall’infanzia all’età matura. Ogni moto d’animo è sintesi d’un distillato alchemico dove la modalità espressiva si fa sempre più lieve in virtù della ricerca della bellezza. Ginevra, laureatasi alla Sorbona e studiosa di storia dell’arte, ne coglie ogni sottile sfumatura mentre s’inoltra nel frastagliato labirinto della psiche del nonno, dopo averne appreso a Parigi il luttuoso evento. E’ una sorta di pellegrinaggio larico il suo: lei si mette in cammino, ritorna all’ambiente originario, ritrova le carte del nonno, ed è così che fra i due s’intreccia un rapporto “sui generis” che apre il racconto ad altre diramazioni con strategia ad incastro. Mentre Franco Cilia laicamente si confessa, la nipote comprende e non giudica, elabora idee e medita sui problemi esistenziali del nascere e del morire, interagendo così con la voce narrante.
Nell’invenzione letteraria il monologo si fa silenzioso e sofferto dialogo: vi si profilano attese e speranze, carenze socio-ambientali che segnano una vita difficile, rinunce ed entusiasmi che la fanno amare, sublimandosi, pertanto, il dolore nell’arte. In primo piano si colloca l’amore per la nipote, tanto oblativo quanto necessario al perfezionamento interiore dell’autore. Luce e lutto, tristezza e gioia sono evidenti manifestazioni d’una sicilianità in cui convivono i contrasti; ma l’affetto che lega il nonno a Ginevra è catartico, rigenerante fino alla ricongiunzione delle polarità contrarie entro la visione virgiliana dell’amore che vince le vacuità del tempo. Anche la morte è considerata come un limite da superare, un passaggio da un pesante stato di essere ad un altro più leggero, verso la luce. Illuminante, in tal senso, la citazione d’un passo di Origene:
“La morte dovrebbe essere considerata come una tappa del nostro viaggio. Noi la raggiungiamo con cavalli stanchi e logorati e ripartiamo con cavalli freschi in grado di portarci oltre, sul nostro cammino”.
Prevalente sicuramente la ricerca dell’ulteriorità che non fa rinunciare alle preziosità del vivere tradotte con parole immaginifiche. Sicché, estetica, passato e futuro si fondono nel segreto amato: il mistero. Solo allora la vita si completa nell’inconfondibile e ineguagliabile “pathos” esoterico.
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