Girano voci. Tre storie
- Autore: Nanni Balestrini
- Anno di pubblicazione: 2012
Scrivere da Nanni Balestrini al tempo del romanzo innocuo, ombelicale, velleitario, omologo (per forma e sostanza) ad altri. Reificare la scrittura a flusso di coscienza, violentarne lo scheletro, alterarne la struttura, e farlo (vivaddio) di libro in libro, ancora e ancora: azzerata la punteggiatura, data la stura a una narrazione commista, che intersechi tra loro cronaca, pensieri, referti di tribunale o da obitorio: panoramiche e inquadrature strettissime del collasso della civiltà. Nanni Balestrini è un reporter impietoso: nell’ora ontologica tra il cane e il lupo, in cui non distingui più la democrazia dal regime poliziesco, continua a filmare senza distogliere lo sguardo.
“Girano voci” (Frullini Edizioni, 2012) ingloba (quindi rigetta, a fiotti di parole inesauste, senza soluzione di continuità), tre storie-emblema, stazioni di un conflitto di classe che non è mai finito, è ancora e sempre sarà. Come nel cuore armato dei Settanta (“Vogliamo tutto”, “Gli invisibili”, “L’editore”), Balestrini sa come colpire al cuore, reiterare fino al disvelamento di senso autentico i quadri del racconto.
Nanni Balestrini è un poeta e cronista al tempo stesso, un sopravvissuto all’afasia del riflusso (letterario), uno scrittore militante per antonomasia. Questa sua ultima prova narrativa lo ritrova in prima linea, sulle barricate della scrittura civile in tre lampi, tre racconti, episodi-archetipo piovuti dal passato - prossimo e remoto - di una Nazione malata di politica, un’Italia che non cambia, che non sa, non vuole cambiare. Il “fantasma” (sulla coscienza del Paese) del ragazzo morto a seguito delle ferite riportate negli scontri di piazza (“Disposta l’autopsia dell’anarchico morto dopo i violenti scontri di Pisa”) in fondo è una metafora sullo stato delle cose. Uno dei tanti (troppi) deceduti col tempo e nel tempo in mano (per mano?) dello Stato.
Il racconto che dà il titolo alla raccolta (“Girano voci”) è un uppercut al mento, un pugno da ko, un apologo sull’orrore, disturbante perché non resuscita morti viventi e altre diavolerie ma il bau bau della tortura, scientemente somministrata dalle forze dell’ordine di una Nazione sedicente democratica. Ancora una volta, oggi come ieri.
L’episodio che chiude il libro (illustrato in direzione evocativa dalle matite e il collage su carta di Gianfranco Baruchello) fissa il focus sulla realtà italiana dell’altro ieri (“Una pacifica manifestazione rovinata da un pugno di teppisti”), inquadrando in simil-presa diretta l’assedio dei black bloc alla Capitale. Anno di grazia 2011 (mica il Settantasette) e ancora macchine incendiate, bancomat distrutti, vetrine di negozi in frantumi e - cosa peggiore nel Paese cattocomunista per eccellenza - finanche una statua della Madonna ridotta in pezzi. Come un inviato dal fronte di guerra (la guerra quotidiana che si combatte tra ricchi e poveri, sfruttati e sfruttatori, una guerra impari, strisciante, subdola, sotterranea, senza trincee), Balestrini registra con abnegazione e coraggio entomologici gli incendi, i rumori (quello delle ossa che si spezzano è tra i peggiori), il fiato corto, le sirene delle ambulanze e delle auto di polizia e anche quello che è più difficile da registrare: la sorpresa, la rabbia, la paura, lo sgomento nel costatare di essere precipitati in un incubo (più o meno dal sessantanove del secolo scorso, giorno della strage di Piazza Fontana) dal quale non ci siamo più svegliati.
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