Gordon di Edith Templeton

Un uomo, una donna e una passione. La scrittrice inglese Edith Templeton in Gordon (Neri Pozza, 2003, trad. di A. Arduini) ci trascina al centro di una storia d’amore vorticosa e senza regole.

Giugno 1946.
La guerra è finalmente finta e Louisa è appena tornata a Londra, dopo essersi separata dal marito.
L’aria è serena ma lei no; c’è qualcosa dentro lei che urla e graffia e non la lascia in pace.
È seduta al bancone di un bar, di pomeriggio. Un pomeriggio qualunque.
Louisa è bella, elegante e sofisticata.
Ed è strano che sia sola, perché una donna così non passa certo inosservata.
Infatti…
A un tratto un uomo ben distinto le si avvicina.
La guarda, la scruta nell’anima.
E lei si lascia osservare, nuda di fronte a quegli occhi.
Una sola parola. “Vieni.”
E lei lo segue.
Poco dopo si ritroveranno in preda a un folle amplesso su di una fredda panchina di un parco.
Un sogno?
Una visione?
Uno scherzo del destino?
Nulla di tutto ciò. O forse tutte queste cose assieme.
Da lì in poi inizierà per lei una storia d’amore e passione, di controsensi e follia.
Una storia che bramava e temeva allo stesso tempo.
Che fare, dunque?
Semplice: viverla, respirandola a pieni polmoni.

Edith Templeton ci racconta una storia che partirà col botto, lasciandosi alle spalle solo pochi minuti di silenzio, di noia. Di apatia.
Una storia che apparirà così assurda da conquistarci, eventi che reputeremo improbabili, ma che forse abbiamo desiderato provare sulla nostra pelle almeno una volta nella vita.

Pagine che sembreranno un vecchio film in bianco e nero davanti ai nostri occhi, attori che si muoveranno in uno scenario di cristallo e cartapesta e che metteranno in scena per noi uno spettacolo che non potremo classificare ma che ci ipnotizzerà.
Una storia dedicata a chi cerca amore, passione, sentimenti contrastanti che cozzeranno tra loro, pagina dopo pagina, fino a giungere a un epilogo così potente da lasciarci senza fiato.
Una storia da divorare o centellinare, lascio a voi la scelta.
In ogni caso vi lascerà qualcosa entro.
Magari un senso di vuoto, perché no.
Che, in fin dei conti, è sempre qualcosa.