Un granatiere tra i granatieri che fecero l’Italia
- Autore: Laura Chiarello
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2016
Era di famiglia blasonata del Monferrato, avrebbe potuto vivere una vita serena, ma è andato a morire in battaglia, a 26 anni, per avere scelto di vestire una divisa (piemontese prima, italiana dopo) e servire la causa dell’unificazione nazionale. Nel 150° anniversario della morte del tenente Achille Ettore Miroglio, conte di Moncestino, l’Associazione culturale Mirò di Villamiroglio (AL) ha pubblicato in selfpublishing Un Granatiere tra i Granatieri che fecero l’Italia (192 pagine, con 46 illustrazioni a colori e 18 tavole fuori testo anche in b/n), realizzato nel 2016 a cura di Laura Chiarello, monferrina di nascita e residenza, pittrice, fotografa, ricercatrice di storia e Presidente della Mirò.
Non è solo un ricordo del conte Miroglio (1840-1866) e non passa inosservato, perché muove da una prospettiva storiografica minoritaria negli ultimi decenni: guarda al Risorgimento da Nord, dal punto di vista dei protagonisti dell’Unità d’Italia che parlavano con l’accento settentrionale. Oggi prevale infatti una rivisitazione che rivendica taluni primati del Sud prima di Garibaldi, denuncia la sottrazione del patrimonio delle Due Sicilie e condanna la repressione del brigantaggio post unitario. Più di un saggio fa capo al revisionismo filoborbonico.
Da Villamiroglio, un comune ora di nemmeno 400 abitanti nell’Alessandrino, arriva il ricordo di un giovane ufficiale e dei soldati che combatterono a Custoza nel 1866. Ma in campo non c’è solo la terza guerra d’indipendenza, perché Achille aveva partecipato fin dal 1859 alle campagne militari del Regno di Sardegna e da ufficiale effettivo alle prime del Regno d’Italia.
A 18 anni, con due di anticipo sulla leva, si arruola volontario nell’imminenza della guerra contro l’Austria. Il primo atto nella caserma del 2° Reggimento dei Granatieri sono i gradi da caporale, come si apprende dal racconto in prima persona, un diario in forma narrativa, secondo la scelta dell’autrice, nella prima delle due parti in cui è diviso il suo lavoro. La seconda è documentale e ricca di illustrazioni e contributi iconografici.
Il giovane Miroglio lascia una sistemazione benestante (per quanto la famiglia conducesse un’esistenza sobria) e pur sapendo d’infliggere un dolore alla mamma, di cui era “unico figliolo”, ottiene il permesso paterno e si presenta alla visita.
Anche il padre Luigi aveva servito tra i Granatieri, nel Reggimento Guardie, partecipando alla prima guerra d’indipendenza, dalla primavera 1848 alla “fatal Novara”, l’anno successivo, richiamato aiutante di campo dal generale Ramorino.
Singolare, in questa fase iniziale della vita militare di Achille, l’accenno alle “ruberie” nelle camerate: i soldati si sottraevano reciprocamente coccarde tricolori, nappine dei kepì e altri effetti minori di vestiario, finché “i più schivi non si ritrovavano senza”. Furtarelli di cui si ha notizia per tutta la storia della naja e che forse proseguono, in forma ridotta o come manifestazione di nonnismo, anche tra le eccellenti Forze Armate odierne, su base esclusivamente volontaria.
L’esercito cresceva numericamente di giorno in giorno e non bastavano per tutti i pantaloni d’ordinanza in tono col cappotto “bigio”, a qualcuno erano stati distribuiti quelli da fatica, in rozza tela chiara. Così, mentre i più accomodanti fingevano di compiacersi di andare incontro alla stagione calda con l’uniforme più leggera, i pignoli non si capacitavano di presentarsi al nemico come una “manica di straccioni”.
Il battesimo del fuoco (“agognato”, scrive Achille, per mano di Laura) avviene la mattina del 24 giugno 1859, alla Madonna della Scoperta, nella battaglia di San Martino, dopo mesi di marce, attendamenti, attraversamenti festosi di Milano e Brescia, schieramenti in riserva su campi di battaglia che non avevano visto impegnato il 2° Granatieri.
"Cercammo tutti di non mostrare quell’improvvisa paura che rischiava di immobilizzarci le gambe ed offuscarci la vista."
Emozione, caldo, sete, affanno nel caricare i lunghi fucili, fumo, bersagli tanti ma sfuggenti, cariche alla baionetta. Il nemico arretra e ritorna, la linea sarda avanza e ripiega, tante volte. Un giorno intero di battaglia a singhiozzo per Achille. Villaggio e chiesa sono presi e persi, ripetutamente. Solo alle 21 gli austriaci non tornano più. Vincere vuol dire attendarsi sul campo conquistato, mentre il nemico ha rinunziato a combattere e si allontana.
Menzione onorevole per il diciottenne caporale e incarico di rilievo, da furiere, nel Reggimento, che torna in azione nell’estate 1860. Campagna d’annessione dell’Italia centrale, ancora in mano al Papa Re: il 2° entra in Umbria dall’Aretino, conquista Città di Castello e poi Perugia, combattendo strada per strada. Poi verranno l’assedio di Ancona e la discesa verso l’ex Regno napoletano, liberato da Garibaldi. Miroglio affronta i borbonici a Mola di Gaeta, sul Garigliano, poi si misura col brigantaggio: “il dovere che meno avrebbero voluto dover compiere”, sono osteggiati e non comprendono il motivo di tanta ostilità delle popolazioni meridionali.
Avviata la carriera da ufficiale, Achille è nell’aliquota dell’esercito sardo che costituisce quello italiano. La guerra del 1866 lo vede tra le avanguardie, costrette ad affrontare l’intera armata austriaca, nello scontro sulle alture di Custoza che in dodici ore lasciò sul terreno i nostri sconfitti e tanti morti, tra loro anche il tenente Achille, conte di Miroglio. Stimato dai colleghi e molto amato dai suoi soldati, è stato una figura esemplare, ignota purtroppo agli italiani, per la cui italianità si è speso.
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