La Grande Guerra, sulle tracce di Amedeo
- Autore: Massimo Ciani
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2018
Non era alto Amedeo Niccolai, nemmeno 1.60 ed era pure un contadino. Non potevano che chiamarlo in fanteria a combattere gli austriaci, oltre cento anni fa. Fante, anzi, “fantaccino”, come lo chiama quasi sempre il nipote Massimo, con affetto, ma un po’ per ricordare quanto contassero poco quei soldatini analfabeti. Erano dediti all’umile, ma pur necessario, lavoro nei campi, non specializzati, perciò sostituibili al fronte e nelle campagne, spendibili come carne da cannone.
La Grande Guerra. Sulle tracce di Amedeo non è un romanzo, ma qualcosa che gli somiglia, chiamiamolo racconto, che Massimo Ciani, avvocato e insegnante nelle superiori, classe 1949, ha dedicato al nonno materno, pubblicandolo per le edizioni Heimat della sua Grosseto, nel novembre 2018.
Il libro è andato in stampa a cento anni esatti dalla fine della prima guerra mondiale, divoratrice di soldatini come il contadino di Cinigiano d’Arcidosso, ai piedi del monte Amiata, scomparso sulle pendici di un’altra montagna, nelle Prealpi venete, il Pasubio, durante la prima grande offensiva austro-ungarica contro il nostro esercito, la Strafexpedition della primavera 1916, dal Trentino.
Nella grande storia di un conflitto costato la vita a dieci milioni di soldati come Amedeo, questa è la storia piccola di una famiglia semplice. Massimo l’ha fortemente voluta raccontare da sempre e l’ha raccolta dalla voce della madre, che gli ha trasmesso anche nel DNA una venerazione per quel babbo da lei mai conosciuto e che aveva tanto disperatamente idealizzato, vivendo per settant’anni anche l’angoscia di una sepoltura che lo sfortunato genitore non ha mai avuto.
Sua madre era nata il 6 marzo 1916, quarta figlia di Amedeo e della forte Angiolina, quando il papà era già stato precettato a fronteggiare l’assalto in Trentino da cui sarebbe stato travolto appena due mesi dopo.
Alla memoria del nonno Niccolai, l’autore si è più che legato, letteralmente “avvinghiato”, fin da bambino. Con la maturità, il ricordo si è sublimato in una specie di voto laico da sciogliere per conto della mamma ed è diventato questo racconto, in cui poco è cronaca autentica degli eventi accaduti al colono toscano in grigioverde, tanto proviene da un’onesta immaginazione e tantissimo si deve a un affetto, coinvolgente, che scavalca il tempo.
Amedeo è il nonno di tutti, il nonno d’Italia, un nuovo Milite non Ignoto, il fante che rappresenta l’intera generazione mandata a combattere un conflitto molto più grande delle loro forze, cento anni fa. Giovani, perché la guerra non è mestiere da vecchi, occorreva essere agili e sani per reggere i disagi delle trincee, per mantenere lo slancio negli assalti, per restare saldi nella difesa, davanti a chi ti corre contro, per ammazzarti in tanti modi crudeli.
La guerra pretende sangue fresco e miete muscoli forti.
Il libretto militare matricolare di Amedeo riporta:
“Nasce il 8 gennaio 1886, altezza 1.58 e mezzo, torace 0,84, capelli castani, colorito roseo, dentatura sana.
Arte o professione: colono.
Sa leggere: poco.
Chiamato alle armi per mobilitazione in fanteria, 69° Reggimento.
Deceduto in combattimento in zona Pioverna, il 22 maggio 1916”.
Il nipote ha immaginato un’azione delle tante: attacco, contrattacco, perdite. Niccolai resta nella terra di nessuno, con altri. Avanti, dietro, forse ce la fa a mettersi al sicuro. Quel caporale romagnolo è steso a terra, “toscanino io non ce la faccio” e gli fa segno di prendere dal taschino della giubba l’ultima lettera alla mamma a Forlì. Amedeo indugia, si china, allunga la mano. Il tiratore nemico può sparare a un bersaglio fermo. Non sbaglia. Ora il graduato forlivese e il toscanino di Arcidosso sono stesi uno accanto all’altro.
Le opposte artiglierie arano lo spazio tra le linee, il fango copre quello che resta, la guerra passa oltre.
Eppure non era giovanissimo Amedeo, andava verso i trenta, ma l’offensiva austriaca si avvertiva nell’aria e c’era da mandare gente contro, armata di un lungo fucile modello ’91, in uso da oltre vent’anni.
Il tenente ragazzino, nascosto dietro baffetti che lo fanno più adulto, lo apostrofa con un tono tra il compassionevole e il divertito:
"Che ci fai al fronte, Niccolai? Abbiamo bisogno di giovani qui, non di uomini in età avanzata. Non penseranno che vinceremo la guerra con soldati come te?"
Amedeo ha sparato una ventina di colpi col ’91, prima di andare in linea. Di certo, davanti a lui gli austriaci non se la daranno a gambe e torneranno a casa, riflette il giovane ufficiale. Chi vorrebbe tornarci è proprio il soldato Niccolai. Non pensa ad altro. Magari questa guerra finisse subito! Là c’è bisogno di lui, lo aspettano una moglie, tre figli piccoli e una appena arrivata. Si vive con un fazzoletto di terra e una vigna. È rimasto il babbo Francesco a fare quello che può, ma gli è di molto anziano è non può fare tanto.
Il tenentino è comprensivo, dice che aspettano l’attacco austriaco, ma è sicuro che lo fermeranno e passata la buriana può star certo Amedeo che il suo ufficiale lo manderà in licenza a casa, a stare un po’ con i suoi. Sarà una consolazione.
Ma la storia è andata diversamente: Angiolina ora è vedova e lo resterà per ventidue anni, fino alla morte, nel 1938. Condizione durissima, la vedovanza contadina, un secolo fa. Senza il babbo, Vittoria è stata orfana per sempre. Da due anni, però, Amedeo vive in La Grande Guerra, il libro del nipote Massimo Ciani.
La Grande Guerra sulle tracce di Amedeo
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