I Grandi Condottieri della Serenissima
- Autore: Gian Nicola Pittalis
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2016
Dall’VIII secolo al XVIII, dal Ducato alla caduta della Repubblica, Venezia è stata una potenza mediterranea che ha basato la sua forza sugli eserciti e sulle navi, come farà la Gran Bretagna sfruttando al meglio il vantaggio d’essere un’isola. La laguna veneta stessa è un insieme di isole, dopotutto.
Venezia ha ottenuto il massimo da tante generazioni di uomini d’arme e capitani di mare, generali e ammiragli, tra i più capaci e intraprendenti di tutti i tempi.
Edoardo e Gian Nicola Pittalis, padre e figlio giornalisti e scrittori, ricostruiscono la storia e le figure di tredici di questi protagonisti nei saggi monografici che si leggono come un libro d’avventura nel volume I Grandi Condottieri della Serenissima, apparso a fine 2016 per i tipi della Biblioteca dei Leoni, casa editrice di Castelfranco Veneto.
I personaggi coprono quasi per intero i dieci secoli di grandezza della Repubblica del Leone di San Marco, a conferma per un altro verso che la capacità della Serenissima di controllare le acque del Mediterraneo seguì da presso lo sviluppo delle costruzioni navali e delle innovazioni tecnologiche e tattiche, di cui si resero abili artefici comandanti e tecnici, alla guida di valenti artigiani e gente di mare.
Non a caso, la storia navale veneziana assume una “rotta” vincente con la svolta che ha portato alla costruzione delle galee, battelli da commercio e da battaglia che sostituirono e migliorarono nettamente i modelli basati ancora sulle navi dell’impero romano.
L’epopea comincia con i tre Orseolo, nel 928. Diventato doge per una non accertata, ma probabile partecipazione alle trame che portarono alla deposizione del Candiani, Pietro I fu leader di polso e venne celebrato come un santo dai Veneziani. A seguire, il figlio Pietro II, doge di gran tempra al comando di uomini e navi, fece sentire il peso della flotta veneziana nell’Adriatico. Saraceni e pirati slavi subirono e arretrarono, tanto nelle acque che sulle coste balcaniche. Accadeva tra il 991 e il 1009, durante il dogato del secondo Orseolo. Gli successe Ottone, che si disimpegnò con qualche successo e non poche difficoltà tra conflitti locali e sommosse, rivelandosi meno capace del fratello primogenito Giovanni, prematuramente scomparso.
Nel XIV secolo, nacquero e prosperarono le fortune del primo vero grande generale de mar, Vettor Pisani (1324-1380), che, tra gli altri nemici, in mare dovette affrontare anche la rivale Genova, repubblica marinara tirrenica che minacciava l’Alto adriatico con le sue galee ben governate.
Del Gattamelata, al secolo Erasmo Stefano da Narni (1370-1443), non c’è molto da dire, visto che il capitano generale delle armate della Serenissima ci guarda tuttora dall’alto, eretto fieramente da Donatello sul cavallo bronzeo in piazza del Santo a Padova. Idem per Bartolomeo Colleoni (1395-1475), altro monumentale uomo d’armi e capitano di ventura al servizio della Repubblica di San Marco. Uno dei pochi che seppe rompere l’imbattibile quadrato di picchieri svizzeri. Il rapporto alterno con Venezia, pure fruttifero per il Leone, continuò fino alla morte dell’ottuagenario, che ci guarda anche lui dall’alto, dal monumento equestre di mano del Verrocchio in campo San Zanipolo.
Da Andrea Gritti (1455-1528), doge promosso dalla gavetta e vigoroso comandante, si passa ai vincitori di Lepanto, Agostino Barbarigo (1516-1571) e Sebastiano Venier (1496-1578). Quella battaglia navale, ricacciò nel 1571 dal Mediterraneo e dall’Europa il naviglio e lo sconfinato esercito ottomano.
A tutti la flotta italiana ha intitolato diverse navi e sommergibili dopo l’Unità, non dimenticando Francesco Morosini (1619-1694), quattro volte capitano de mar, poi doge, grandissimo stratega navale e creatore dei fanti de mar, né marinai né soldati, ma assaltatori da sbarco, i primi marines della storia.
La carrellata si chiude con il difensore di Corfù, von der Schulenburg (1661-1774), che resse la situazione disperata dell’assedio di un’armata turca sconfinata, costretta poi ad abbandonare l’impresa; e con l’ultimo ammiraglio, Angelo Emo (1731-1792), straordinario innovatore al quale si deve l’ultimo ruggito del Leone prima dell’avvento di Napoleone nel 1796, disastroso per la Repubblica millenaria.
La vicenda più esemplare, nobile e allo stesso tempo dolorosa, però, è quella che viene proposta per prima, in deroga al criterio cronologico seguito per gli altri. È una storia di armi e di valore, ma anche di tremenda e gratuita crudeltà. A distanza di quasi mezzo millennio, fanno ancora rabbrividire la tortura e lo scuoiamento di Marcantonio Bragadin (1523-1571). Per oltre un anno la fortezza cipriota di Famagosta aveva retto all’assedio turco. Esauriti i viveri, Bragadin fu costretto ad accogliere una proposta di resa onorevole del pascià, subendo invece un orrendo martirio per aver rifiutato di convertirsi all’Islam. Un giovane marinaio veneziano riuscì a trafugare la sua pelle da Costantinopoli. È custodita nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo, protetta dal Colleoni.
I grandi condottieri della Serenissima
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