L’inquisizione a Venezia
- Autore: Gian Nicola Pittalis
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2017
Nella Serenissima, al bando le fiamme per gli eretici e le streghe, niente pubbliche esecuzioni, torture limitate al minimo sindacale: i governi dei patrizi di San Marco consentivano l’esercizio inquisitorio solo con le dovute accortezze e con misura, niente a che vedere con la spietata severità che per quattrocento anni ha tormentato l’Europa in nome del Santo Uffizio. La Repubblica non amava i roghi, sostiene Gian Nicola Pittalis nel saggio storico L’Inquisizione a Venezia, apparso in prima edizione nel novembre 2017 per i tipi della Biblioteca dei Leoni di Castelfranco Veneto.
Gian Nicola è giornalista e da “non storico” di professione (vanta una laurea insolita in archeologia subacquea) ha scelto di ricorrere ai ferri del mestiere cronistico, per realizzare il libro proposto dalla casa editrice che aveva già dato alle stampe le opere firmate a quattro mani col padre Eduardo, decano del giornalismo veneziano e straordinario ricercatore e narratore di storia.
Per questo primo prodotto editoriale realizzato da solo, Pittalis junior è andato alla ricerca di “notizie” e fonti, potendo contare sulla gran quantità di atti depositati dalle corti nel corso dell’attività inquisitoria nella storica sede della Cappella di San Teodoro, nei pressi della Canonica di San Marco (l’insieme di abitazioni per i religiosi, una specie di convento sparso), proseguita per poco meno di quattro secoli, visto che l’inquisizione veneziana decadde nei primi del 1800 con l’arrivo di Napoleone, estinguendosi insieme alla plurisecolare Repubblica del Leone.
A Venezia era approdata nel 1547, “con qualche aggiustamento” imposto dal governo repubblicano, ribadisce l’autore e con cinque anni di ritardo sulla nascita ufficiale dell’Inquisizione europea, fortemente voluta da papa Paolo III Farnese, poco prima del Concilio di Trento, per combattere la diffusione delle eresie.
In piena Controriforma, il pontefice autorizzò gli inquisitori “ad agire contro chiunque odori di eretica pravità”. Successivamente, impose agli ebrei la conversione forzata: quanti rifiutavano e restavano legati alla fede giudaica venivano “trattati” da eretici: grandi autodafè pubblici e roghi al centro delle piazze principali.
Eresia, ricorda Pittalis, viene dal greco “scelta”, quindi scelta di una dottrina “scorretta”, contrastante con quella ufficiale della Chiesa.
Nella Repubblica non ricorsero i tratti feroci dell’Inquisizione che insanguinò la Spagna, le Fiandre, i Paesi Bassi e la Germania e non si ritrovano figure come quella del domenicano Tomas de Torquemada (1420-1498), l’inquisitore per eccellenza di tutti i tempi, che fissò le regole di un’attività spietata e che godeva del pieno appoggio del re spagnolo, giunto a finanziargli un esercito privato.
Girava l’Europa installando tribunali del Santo Uffizio per scovare eretici, torturarli, giustiziarli, a prescindere dall’autorità del vescovo competente. Violenza estrema, nessuna misericordia accordata ai “reprobi”.
Arrivato in un abitato, Torquemada interrogava praticamente tutti i residenti, in veste di accusati o accusatori.
In piazza San Marco non si sono allestiti autodafè. Dal portoghese “atto di fede”, erano un cerimoniale giudiziario impressionante, una messinscena pubblica nei giorni di festa, per avere la massima partecipazione della gente. Messa, preghiere, corteo dei prigionieri col capo rasato, sospinti a frustate. Cataste di legno da ardere per i negatori della fede cristiana, solo percosse e vergogna per i convertiti. Un notaio leggeva la confessione, seguiva l’abiura con tanto di assoluzione dalla scomunica e con la promessa di grazia da parte dell’inquisitore. Chi assisteva alla lettura godeva di un’indulgenza di quaranta giorni dai peccati.
Niente di tutto questo a Venezia, repubblica tollerante e accogliente, che ospitava il ghetto più grande d’Europa e non intendeva rinunciare alle fortune economiche e finanziarie degli ebrei, né alla mano d’opera rappresentata dai meno abbienti tra loro. Non potendo ignorare il fermo volere antisemita del Vaticano, mise in carica gli inquisitori (che peraltro non retribuiva), ma ne moderò l’operato sottoponendoli al controllo di tre savi, scelti tra i cattolici di comprovata fede. Eppure, decenni prima della prima Inquisizione, il Maggior Consiglio aveva dotato la Serenissima dei Signori della Notte, magistrati competenti in particolare nel giudicare “fattucchierie” e “stregarie”.
Se altrove tutto era giustificato in nome di Dio, anche la negazione delle garanzie più banali per i sospettati, non così a Venezia, che “dava filo da torcere alla Santa Inquisizione anche in materia di stregoneria”. Mai un rogo di streghe nei suoi territori, in un’Europa nella quale, tra il Cinquecento e l’inizio del Seicento, non si contarono le povere donne torturate e bruciate.
Sulla base della formula riuscita nel libro precedente col padre, Gian Nicola Pittalis divide L’inquisizione a Venezia in venti capitoli monografici, tutti sullo stesso argomento, ma di fatto a sé stanti. L’interesse si estende da Venezia all’intera storia dell’Inquisizione.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’inquisizione a Venezia
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