I Malatesta. Filosofia, sentimento e guerra nella storia di una dinastia
- Autore: Pierluigi Moressa
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2023
Guelfi o Ghibellini? Col Papa o con l’Impero? Scelta difficile ottocento anni fa, per gli italiani che contavano. Il romagnolo Malatesta da Verucchio riuscì a essere l’uno e l’altro, con grande profitto per la dinastia avviata dal nonno Malatesta e dal padre Malatesta della Penna, fedele all’imperatore svevo.
Il verucchiese, non primo della Casata, è stato però il fondatore della Signoria di Rimini, nel 1295. Fiorisce ancora la rosa malatestiana, scrive Pierluigi Moressa, a sottolineare l’attualità e il significato di una ricostruzione di quella famiglia, dopo sette secoli, realizzata nel saggio I Malatesta. Filosofia, sentimento e guerra nella storia di una dinastia (2023, 344 pagine), pubblicato ad aprile da una casa editrice di zona, Diarkos, di Sant’Arcangelo di Romagna, in Valmarecchia.
Pierluigi Moressa (Forlì, 1959), medico psichiatra, membro della Società psicoanalitica italiana e giornalista pubblicista, ha scritto saggi su figure dell’arte e della cultura. Ha partecipato come relatore a convegni scientifici su temi clinici e di storia della medicina. Si è impegnato ad approfondire argomenti locali, pubblicando alcune guide storico-artistiche su città e luoghi della Romagna. Ha firmato articoli su riviste a varia diffusione. Per Diarkos, prima del saggio sui Malatesta, ha pubblicato Caterina Sforza. Potere e bellezza nel Rinascimento (2022)
La rosa è una delle rappresentazioni della Casata, un fiore a quattro petali, a indicare la vitalità di più generazioni che in oltre due secoli, nel Riminese-Ravennate-Forlivese, coniugarono la forza militare alla visione culturale e a uno spiccato senso estetico. Due esempi di costruzioni in cui quei valori vennero sublimati. Una è la suggestiva e quasi inespugnabile Rocca di Verucchio, che tuttora guarda il corso del fiume Marecchia, chiudendo la valle insieme alla fortezza di Montebello-Torriana sull’altro versante. L’altro, lo straordinario gioiello architettonico di Leon Battista Alberti, il Tempio Malatestiano di Rimini, del XV secolo, esecrato da un pur esteta e umanista come papa Pio II Piccolomini, che lo considerava più simile a un edificio di culto pagano che a una chiesa cristiana.
Il motto dei Malatesta, “L’elefante non teme le zanzare”, era sprezzante nei confronti degli avversari, sempre tanti per un potentato che emerse dalla contesa contro i Montefeltro. Si erse sull’intera Romagna, da Malatesta da Verucchio, Signore di Rimini con la forza e con l’inganno nel 1295, a Pandolfo IV, nel 1528, passando per il grande Sigismondo Pandolfo, noto alle armi, agli annali e anche alle cronache rosa, per la sua storia d’amore con Isotta degli Atti.
Torniamo al fondatore, pur non primo. Malatestino I o Malatesta da Verucchio, detto Malatesta il Centenario per il suo secolo di vita (1212-1312), chiamato il “Mastin Vecchio” da Dante: tanti nomi per un uomo solo, scaltro, pratico nel guidare armati, abile nello stabilire vincoli matrimoniali redditizi, provetto nel gioco delle alleanze e nel cambiarle al momento giusto. Esercitò le sue doti, positive e negative, per strappare Rimini alla famiglia rivale dei Parcitadi, da allora “Perdecittade”.
Dalle prime nozze ebbe cinque figli, due dei quali, Giovanni lo zoppo (il Ciotto) e Paolo, dettero vita con la moglie ravennate di Gianciotto, Francesca da Polenta, al dramma della gelosia nel bellissimo castello di Gradara, spartiacque tra il Riminese e il Montefeltro, prossimo alla costa tra Cattolica e le Marche.
Tanti gli eccellenti tra i Malatesta, molti i detestabili, come Malatesta l’Antico (1299-1364), detto Guastafamiglia per il cinismo con cui perseguiva le logiche del potere assoluto, senza rispettare vincoli familiari e parentele.
Nella galleria dei ritratti grondanti di sangue della dinastia riminese entra di diritto Galeotto (1300-1385), altro figlio di Pandolfo I e quindi fratello di Guastafamiglia. Fu giudice intransigente della moralità di una pronipote.
Costanza, figlia di Malatesta IV Ungaro e vedova di Ugo d’Este, fratello della madre. Due decessi le avevano concesso libertà e sostanze. Dopo quello del marito, nel 1370, al rientro in Romagna la giovane prese a condurre una vita sfrenata e dedita ai piaceri. Due anni più avanti, alla morte del padre si ritrovò erede di un vasto patrimonio. Tra i suoi amanti si distingueva un cavaliere tedesco, Ormanno, capitano di ventura al servizio dei Malatesta, con molti armati.
Scoperta la relazione, Galeotto, capo della famiglia e prozio di Costanza, giudicò intollerabile la condotta e decretò l’eliminazione dei due fedifraghi. Il dott. Moressa suggerisce di scegliere una tra varie ipotesi sui motivi della severità. Una punizione esemplare? Il timore di pretese di Ormanno sui possedimenti o la brama di mettere le mani sui lasciti di Ungaro?
Fu ingaggiato un sicario, Santolino da Faenza, che non ebbe cuore di uccidere la ragazza. Foriuzzo da Forlì assolse invece il macabro compito e la notte del 15 ottobre 1378 trucidò i due amanti nel castello di Montefiore Conca.
Il maniero è un altro suggestivo esempio di architettura militare malatestiana: fortilizio dalle alte murature, elevate e imprendibili, a difesa e dominio della Valconca, completato intorno al 1330 da Guastafamiglia.
Si dice che le anime dei due amanti uccisi vaghino ancora nel castello, spettri notturni. Peraltro, tra le leggende care ai romagnoli, a Costanza viene arbitrariamente attribuita la maternità di Azzurrina, altro fantasma legato per tradizione ai Malatesta, localizzato nel fortilizio di Montebello, in Valmarecchia, di fronte a Verucchio.
“Fiorisce ancora la rosa Malatestiana”, Pierluigi Moressa sostiene di avere cercato di svelare tra i suoi petali il senso palese e quello segreto di una storia che attraverso i secoli non finisce di meravigliare.
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