I Moncalvo
- Autore: Enrico Castelnuovo
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2019
“Un romanzo caratterizzato più da riflessione ansiosa che da bonaria descrizione”.
È così che Gabriella Romani introduce la riedizione di un raro prodotto narrativo italiano, che conta oltre un secolo e ha per tema le vicende di una famiglia ebrea nell’Italia post-unitaria. I Moncalvo, apparso nel 2019 nella Biblioteca di narrativa della casa editrice novarese Interlinea (240 pagine), è l’unico romanzo di ambientazione ebraica di Enrico Castelnuovo (1839-1915), un prolifico scrittore veneziano di natali fiorentini e di famiglia israelita.
A presentare l’autore è Gabriella Romani, giovane docente di italianistica nella Seton Hall University del New Jersey.
Castelnuovo ha vissuto stabilmente nel capoluogo veneto e ha conservato per tutta la vita un atteggiamento improntato al laicismo, fedele al positivismo, con qualche venatura di romanticismo. Oggi è pressoché sconosciuto, a suo tempo però, come autore di un’abbondante produzione di romanzi, racconti, poesie e saggi apprezzati dal pubblico e dalla critica anche all’estero, era ben considerato dai grandi. Per Croce restava uno dei più apprezzabili “autori italiani di romanzi ben fatti” e Castelnuovo stesso si riteneva destinato “ai successi di stima”, verificando che il pubblico borghese, riconoscendosi nelle sue opere, continuava fedelmente a seguirlo per tutto il corso della sua carriera.
Non si è mai accostato a nessun movimento artistico o scuola di pensiero, ma il suo stile lo avvicinava alla corrente del realismo narrativo tardo romantico. Condivideva l’ideologia edificante dei buoni sentimenti con autori come Edmondo De Amicis. La curiosità è che non scriveva di mestiere, vi si dedicava di complemento (ha fatto l’impiegato e l’insegnante), era uno “scrittore della domenica”. La sua firma compariva sulle riviste nazionali più prestigiose e aveva un seguito tra i lettori colti e borghesi che acquistavano quelle testate, in cui trovavano in quegli anni i migliori esempi di scrittura e letteratura italiana di collaboratori eccellenti.
I Moncalvo è un romanzo che ha un’oggettiva validità e vive di vita propria, legata al modo di scrivere dei primi del Novecento, l’età del realismo tardo romantico, ma anche di Gabriele D’Annunzio e dei suoi furori e piaceri.
È considerato il prodotto migliore di Castelnuovo, una sintesi ottimale di quanto da lui realizzato fino a quel momento e anche il tentativo di percorrere nuove strade.
Protagonisti sono i fratelli Moncalvo, Giacomo e Gabriele, il primo docente universitario di matematica, banchiere e finanziere il secondo. Nascono a Ferrara, ma è nella Roma umbertina che li vediamo in azione, in una città da poco in grande espansione urbanistica, mentre la massoneria guadagna spazio in un’amministrazione pubblica in fase di radicamento nella nuova capitale del Regno.
Nella ricerca di una collocazione efficace, la classe dirigente laica entra in confronto e spesso in conflitto con la radicata influenza della curia romana. A loro volta, i fratelli Moncalvo devono misurarsi con aconfessionali ed ecclesiastici, ma le origini ebraiche sono un handicap in quella fase di integrazione a Roma degli ebrei nella comunità cattolica tradizionale. Giacomo resiste all’assimilazione restando fedele all’identità israelita delle radici, pur anteponendo un profilo laico all’osservanza religiosa. Gabriele è disposto invece a fare il passo, allontanandosi dalle radici confessionali, pur di soddisfare le sue ambizioni di crescita sociale e di affermazione economica e politica.
È tempo di trasformismo in Italia in quegli anni e non a caso più della trama conta l’aspetto storico, il fatto stesso di essere un romanzo sul tema dell’ebraismo in Italia, un argomento che non trova facilmente autori, non incontra pubblico e non vanta una bibliografia importante, quantitativamente e qualitativamente. Non sono né tanti né buoni gli spunti romanzeschi a carattere israelita nella letteratura nazionale o più esattamente in quella post-unitaria.
Occorre insistere sull’aspetto temporale, perché quello è un momento chiave della questione ebraica in Europa. Mentre si verificavano pogrom e persecuzioni, nel mondo slavo in particolare, in Italia si viveva in apparenza una specie di pax israelita, con l’assenza di fenomeni di xenofobia o antisemitismo. Non si concretizzava in fenomeni eclatanti l’esecrazione nei confronti dei “giudei”, strisciante nei settori cattolici più reazionari. Per il clero più arretrato e i fedeli bigotti, erano macchiati da una colpa gravissima: non avevano riconosciuto il figlio di Dio sceso in terra, anzi lo avevano crocifisso e attendevano ancora la venuta del Messia.
Arnaldo Momigliano e Gramsci ritenevano a esempio risolto con l’unità d’Italia il problema ebraico, a differenza di quanto accadeva in Russia e in Europa orientale, ma il processo d’integrazione degli ebrei nella società italiana era tutt’altro che lineare. Lo testimonia proprio il romanzo dello scrittore veneziano Enrico Castelnuovo, con i patemi, le ansie, i muri da valicare per i Moncalvo.
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