I due imperatori. La saga della Legione Occulta
- Autore: Roberto Genovesi
- Genere: Fantasy
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2019
Vigiles in tenebris: sono una legione, quindi una formazione militare, però non combattono con le armi, quanto meno non con la daga, ma usando forze, poteri, strumenti che hanno a che fare con ben altro che la realtà terrena.
A novembre 2019, Roberto Genovesi ha dato alle stampe per Newton Compton il quarto romanzo della saga della Legione Occulta, I due imperatori.
La saga ritorna alle origini, a Madron, il portentoso bimbo gallico muto, cresciuto nell’Aquitania del 52 a.C., che diventa il prefetto legionario Julius Felix, al comando di un reparto di veggenti e negromanti. Sono “legionari ausiliari”, dotati di facoltà extrasensoriali, come si direbbe oggi, o di superpoteri, se l’espressione non suonasse inadatta, visto che non siamo nel terreno della fantascienza, ma in un fantasy calato nella storia dell’antica Roma. Pertanto, non superforza o supervista, ma capacità divinatorie, preveggenza, predizioni del futuro, interpretazioni del volere degli dei e condivisione del loro sapere.
Si tratta di fiction storico-fantasy, un genere insolito, del quale Genovesi è maestro. Da giornalista qual è (cinquemila e più articoli in carriera), sceneggiatore e autore televisivo di numerosi programmi, difficilmente avrebbe potuto guadagnare l’ampia popolarità che gli ha dato l’attività di romanziere. Cinquantacinquenne, Genovesi è il più importante scrittore di historical fantasy in Italia e questo nuovo titolo si è aggiunto agli altri Newton Compton della serie: La Legione Occulta dell’impero romano (2010), Il comandante della Legione Occulta (2012), Il ritorno della Legione Occulta. Il re dei Giudei (2017).
Acquisito il ruolo di maestro (diciamo pure Gran Maestro) di quel suggestivo genere narrativo, ricordando che gli esordi del Genovesi scrittore risalgono a due decenni fa, nella della mitica collana di fantascienza Urania (con un romanzo dal titolo che anticipava la carriera letteraria: Inferi on net), non si può fare a meno di riferire dell’autoironico biglietto da visita proposto nella pagina biografica del suo sito, all’ombra del sempre marziale e immancabile Vigiles in tenebris:
Amo molto il mio lavoro, sempre che si possa considerare un lavoro inventare storie mentre gli altri faticano, sudano e timbrano cartellini. Qualcuno ha detto “non dite a mia madre che faccio il giornalista, lei sa che suono il piano in un bordello”: visto che non so suonare il piano, l’unica cosa che mi restava da fare nella vita, non essendo capace di fare alcun tipo di lavoro serio, era il mestiere del giornalista.
Giornalista quanto si vuole (e non è detto che ci sia da vergognarsi), è certamente un uomo brillante, spiritoso, ironico, che sa trasformarsi in una pura macchina del terrore. Un orrore strisciante, un crescendo di paura che si gonfia nel racconto.
Cosa ci può essere di più terribile della morte, tanto da spingere i prigionieri celti di Giulio Cesare a preferire di togliersi atrocemente la vita piuttosto che affrontare qualcosa là davanti nella foresta, che li atterrisce nel profondo? Si agitano, si ribellano, ma non fuggono. Chiedono d’essere uccisi!
Col calare del buio, la foresta gallica sembra chiudersi sui coraggiosi legionari di Roma, rotti a tutte le esperienze. Il bosco rigurgita di suoni spaventosi. Ruggiti animaleschi, urla stridule che almeno un tempo erano grida umane. Quello ch’è peggio, è il silenzio che segue all’improvviso.
“Andiamo via da qui”, ripete il vecchio druido che Cesare ha fatto portare al suo cospetto. Accanto al generale c’è Marco Antonio, il più giovane ufficiale delle quattro legioni romane di ritorno nel 52 a.C. da Gergovia, la capitale di Vercingetorige, acerrimo nemico e capo dei Galli. L’anziano sacerdote rifiuta di andare avanti, supplica di ricevere la morte e il condottiero legge negli occhi del vecchio un autentico terrore.
Questo dovrebbe spaventare Cesare più d’ogni altra cosa, eppure non basta a farlo desiste dall’andare avanti, rinunciando perfino a farsi precedere dagli esploratori.
Lo strano suono riprende. Poi s’interrompe di nuovo. Va e viene, come un’onda. Avanzano. Il bosco spalanca le braccia e le richiude solo quando tutti i soldati guidati dal proconsole di Roma sono preda nell’oscurità.
Intervallate alle vicende in Aquitania ci sono le imprese di legionari molto particolari, nel 32 a.C., prima oltralpe e un anno dopo nelle isole ionie del Mediterraneo. Qui la flotta di Marco Antonio è in procinto di scontrarsi con quella di Ottaviano, per la conquista del primo trono imperiale a Roma. L’ex giovane ufficiale di Cesare sa di essere più debole dell’avversario, ma è in attesa di qualcosa che dovrebbe arrivare, scortata da imbarcazioni camuffate per superare il controllo delle navi nemiche.
È per questo che ogni sera sale sulle torri più alte di guardia, nella speranza di scorgere avanzare sul mare l’arma potentissima che vent’anni prima aveva visto illuminare i sogni folli di un condottiero impavido. Un’arma che aveva ragione dell’acciaio e del fuoco e che non temeva sconfitta. Un’arma più spaventosa della morte. Un’arma di cui avverte l’inarrestabile energia avvolgergli le mani e fargli tremare le vene.
I due imperatori. La saga della legione occulta
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