I giorni della libertà. Dalle quattro giornate di Napoli, alla Repubblica dell’Ossola, a Milano liberata
- Autore: Almerico Realfonzo
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mimesis
- Anno di pubblicazione: 2013
Memorie di guerra subìta e di Resistenza partecipata. Un ragazzo, minorenne nella furia degli eventi 1943-45 a Napoli e nel Nord occupato dai tedeschi, cresce e diventa un professionista, matura a lungo le sue esperienze e decide finalmente di raccontarle. Almerico Realfonzo lo ha fatto in un libro, I giorni della libertà. Dalle quattro giornate di Napoli, alla repubblica dell’Ossola, a Milano liberata, pubblicato nel 2013 dalle Edizioni Mimesis (185 pagine).
L’esigenza di “ripercorrere i momenti salienti tra ricordo e ricerca” si è fatta prepotente solo tardi, per mettere la famiglia al corrente del suo passato, con nessun intento di rivendicare un ruolo in quello stesso passato nobile per una parte degli italiani. Realfonzo non può fare a meno di notare però, dopo decenni, che all’affermazione della dignità nazionale nella lotta di liberazione non è seguita la creazione di una società rinnovata nei valori. Le comunità civili si sono ripiegate su se stesse, perdendo col tempo lo slancio che avevano espresso in quel biennio.
Una dimostrazione a suo avviso è Napoli, avviluppata nel groviglio urbanistico straripante in cui si ritrova compressa, ma non cresciuta. E avvilita, quanto a rispettabilità.
Nato nella città del Golfo nel 1927 e scomparso nel 2019, Realfonzo è stato docente universitario di estimo nelle Università di Bari e Napoli, ingegnere e prima ancora giovanissimo partigiano.
Sfollato con la famiglia a Domodossola tra l’autunno 1943 e l’estate 1945, è stato liceale nel “Rosmini” e si è avvicinato alla resistenza locale. Negli ultimi mesi del conflitto si trasferì a Milano, dove visse gli ultimi mesi di occupazione nazifascista, fino all’insurrezione del 25 aprile, alla quale prese parte nella formazione combattente della divisione Ticino.
Oltre a testi sulla pianificazione territoriale, l’economia urbanistica e l’ingegneristica, si è dedicato negli ultimi anni di vita a un’intesa attività memorialistica, pubblicando saggi e quattro libri di ricordi delle esperienze dal 1943 al dopoguerra, tanto nella sua Napoli, che cacciò i tedeschi con le quattro giornate, quanto nella Val d’Ossola resistente e nella Milano tra occupazione e liberazione.
I giorni della libertà è il secondo della quadrilogia, che gli è valsa riconoscimenti e il Premio Repubblica partigiana dell’Ossola, nel 2017. Diviso in due parti, il volume intreccia ricordi personali alle vicende storiche in territori intensamente interessati da episodi cruciali in quegli anni convulsi. Due parti, due racconti, ognuno col titolo di un giardino. Quello “degli aranci” ha per oggetto fasi di vita e di guerra in una Napoli martoriata dai bombardamenti e dall’occupazione della Wehrmacht, dopo l’8 settembre 1943. L’armistizio aveva fatto cessare lo stato di belligeranza dell’Italia contro gli alleati, ma non aveva tirato fuori il nostro Paese dal conflitto, proprio per la pesante presenza tedesca.
I giardini rosminiani, breve memoriale sugli anni tra 1943-45 a Domodossola e Milano, è uscito da solo nel 2008, prima d’essere riproposto in questo volume Mimesis. L’azione si sposta nella Repubblica partigiana dell’Ossola e nei giorni di fine guerra e dopoguerra nella capitale del Nord Italia.
La traccia del libro è semplice, spiegava l’autore stesso: le reazioni, gli stati d’animo e i comportamenti tratti dai dati storici e quelli “destati” dai principali accadimenti, come l’armistizio e Piazzale Loreto, accanto a momenti vissuti e osservati localmente.
A Napoli ci si reca nel 1947, per prendere contatti con la nuova università. È dopoguerra avanzato, quindi, ma ricorda d’esserci già tornato per qualche settimana nell’autunno del’45, “colpito dalla marea di adulti e bambini in condizioni di estrema miseria che si incontrava nei quartieri popolari”.
Diretto è anche il racconto del suo 8 settembre a Domodossola, con le reazioni all’annuncio di Badoglio, diffuso dalla radio verso le 20. Gli umori popolari, contrastanti, andavano dal sollievo per la pace presunta, allo smarrimento
di molti di fronte alla disfatta e alla voglia di rivalsa sui fascisti.
"A Domo, appartata cittadina di frontiera fuori della storia, la gente scese frastornata nelle strade e per qualche ora girarono gruppi di giovani con l’aria tra l’allegro e il cattivo e con la voglia di menare le mani."
La città si riempì di soldati sbandati, riconoscibili dal precario abbigliamento borghese, d’improvviso spariti, saliti in montagna a formare un primo nucleo di resistenza armata, la “Banda Libertà”, sparsa in piccoli gruppi nelle frazioni.
Altro evento chiave, che chiude le vicende collettive nel ’45, è Piazzale Loreto. Otto mesi prima vi erano state esposte quindici vittime fucilate dai fascisti per ordine della Gestapo: la mattina del 29 aprile 1945 ospitò l’ostensione dei cadaveri del duce e e dei gerarchi fascisti trasportati nella notte da Dongo. Il diciottenne Almerico Realfonzo vi si recò col padre e il fratello, richiamati dalla radio. Tra la folla straripante, percorsa da un’agitazione febbrile, nel tumulto e gli spari in aria, restarono a pochi passi dagli uccisi, che giacevano ai piedi del traliccio di un distributore di benzina, dove, quando più alto divenne il clamore della gente, vennero appesi Mussolini, la Petacci, Pavolini, Mezzasoma e poi Starace, ucciso sul posto e piazzato al posto di Barracu, caduto al suolo tra gli altri morti per l’allentarsi delle corde.
Ferruccio Parri, tra i capi della Resistenza col nome di battaglia Maurizio, la definì “macelleria messicana”.
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