I normanni
- Autore: Hubert Houben
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Casa editrice: il Mulino
In Europa siamo tutti un po’ normanni chi più chi meno
Erano alti, robusti, biondi, nati per fare preda e bottino. Tendevano a non manutenere la parola data, per loro contava la convenienza del momento, tutto il resto era secondario. Li chiamavano uomini del nord, ma erano vichinghi o gli abitanti della Normandia, la regione francese sul Canale della Manica? Gli uni e gli altri, perché sono la stessa i cosa. A loro, Hubert Houben dedica un tascabile della collezione il Mulino, “I normanni” (142 pagine 12 euro). Nella lingua tedesca, quell’espressione indica tanto le popolazioni scandinave che saccheggiavano le coste fino al passo di Calais quanto i discendenti che si stabilirono nella Francia settentrionale nel X secolo. Sono questi ultimi che guidati da Guglielmo il Conquistatore invasero l’Inghilterra e sempre dalla Normandia mosse la spedizione che in pochi decenni avrebbe conquistato l’intera Italia del sud. Nel 1130, Ruggero II Hauteville (Altavilla) unificò tutto il Mezzogiorno e la Sicilia, sconfiggendo bizantini e arabi. All’inizio di quel secolo, il cugino Boemondo aveva creato un principato normanno in Siria, ad Antiochia, nel corso della prima crociata.
È di questi uomini del nord nel sud che si occupa prevalentemente l’agile ricerca del professor Houben, docente di storia medievale nell’università del Salento, a Lecce.
I vichinghi, quindi, rinunciarono al mordi e fuggi e si stanziarono nella Francia settentrionale, assumendo la lingua e la religione di quelle terre. Alcuni poi attraversarono il braccio di mare, per raggiungere la parte meridionale delle isole britanniche. Prevalsero nella battaglia di Hastings e pur regnando, abbandonando in breve il francese per adottare l’idioma degli anglosassoni sconfitti. Lo stesso accadde nell’Italia meridionale. Affascinati dalla latinitas, la assunsero come un’identità credo che imposero all’intero territorio, insieme al cattolicesimo, scalzando ovunque le tracce greco-bizantine e arabo-musulmane. Diventarono loro stessi meridionali.
Uno degli aspetti affrontati da Houben nel suo lavoro è proprio questa liquidità della cultura normanna, la capacità di adattamento e integrazione di combattenti formidabili che costituivano un’etnia tutt’altro che prevaricatrice. La tendenza ad assimilare lingua e tradizioni, contaminando le proprie fino a scioglierle in quelle locali, ha caratterizzato certamente le migrazioni normanne.
Indubbiamente superiori sotto l’aspetto della tecnologia militare e delle attitudini belliche, non avevano bisogno di spostare masse. Bastavano nuclei efficienti quanto numericamente ridotti per fare proprie ampie terre, nelle quali però quella elite guerriera non disdegnava matrimoni misti. I normanni erano disposti a fondersi con i soggiogati e questi ritenevano vantaggioso legarsi alla nuova classe dirigente. In terra francese, del resto, anche i sovrani franchi avevano apprezzato la protezione garantita a nord da un regno non barbaro e non nemico. Nell’Italia meridionale la Chiesa romana aveva capito presto che invece di farsi stritolare dalla macchina bellica normanna sarebbe stato utile modellare la natura plastica dell’invasore per trasformarlo nel braccio armato contro i peggiori nemici, l’impero d’Oriente e l’Islam.
Il discorso vale però soltanto rispetto alle due realtà, Inghilterra e Italia del sud, nelle quali la penetrazione normanna ebbe un successo duraturo, perché altrove la pianta degli uomini del nord non attecchì. Le loro pur efficienti unità vennero alla lunga surclassate dai grandi numeri di realtà etniche più consistenti.
Nel Mezzogiorno, peraltro, giocarono a favore la debolezza di Bisanzio e la distrazione della corona romano-germanica, oltre alla divisione tra le forze arabe, impegnato allo stremo dalle crociate e l’esigenza per il Papato di avere dalla propria i signori nordici della guerra.
Con l’espansione in Inghilterra e le conquiste nel sud Italia, tra XI e XII secolo condottieri e avventurieri normanni mutarono la cartina geopolitica dell’Europa. Riuscirono in quelle due realtà mentre fallirono altrove. Il durevole successo britannico e italico si spiega – conclude Houben – con la capacità di adattarsi ad ambienti geograficamente, politicamente e culturalmente differenti e di integrarvisi perfettamente.
In un’altra parte del vecchio continente, altri vichinghi avevano invaso terre e sposato gli usi locali, slavizzandosi, ma diventando cristiani: rus (russi). Se avessero scelto invece la religione musulmana, oggi racconteremmo una storia diversa del mondo.
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