I nostri poeti. Antologia civile essenziale dell’Italia Repubblicana
- Autore: Non disponibile
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2016
La Casa Editrice dell’Asino (che il suo fondatore Goffredo Fofi definisce “minima e povera”) ha pubblicato “I nostri poeti. Antologia civile essenziale dell’Italia repubblicana”, offrendo ai lettori un florilegio di poesie firmate da 36 autori italiani attivi dal dopoguerra a oggi.
Dei poeti citati, sette sono donne (Cavalli, Guasti, Merini, Morante, Ortese, Ramondino, Rosselli) e quattro dialettali (De Vita, Meneghetti, Noventa, Scataglini). Due di loro sono poi da considerarsi “atipici”, in quanto si sono ritagliati nella storia del nostro paese un nobilissimo spazio di pensatori dell’utopia e combattenti della nonviolenza: Danilo Dolci e Aldo Capitini.
Tutti i poeti rappresentati sono comunque eccezionali megafoni della parola non asservita al potere, della parola libera e liberante: dell’indignazione o del rifiuto, della testimonianza sofferta o del silenzio allarmato. Così si giustificano le denunce più risolute di Pasolini (“Ma come io possiedo la storia, / essa mi possiede: ne sono illuminato: // ma a che serve la luce?”), di Fortini (“La poesia / non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi”), di Luzi (“È il tempo / che ai rassegnati a questa quasi vita / s’appicca un fuoco di rivolta”), di Sereni (“Insiste che conta più della speranza l’ira / e più dell’ira la chiarezza // … sin quando il nodo spezzerà di squallore e rigurgito / un grido troppo tempo in noi represso / dal fondo di questi asettici inferni”) e soprattutto del molto giustamente celebrato Giovanni Giudici:
“Io che parlo del popolo (fu poco / lo spazio per decidere) è di me / che parlo consapevole, perché / la volontà non basta, occorre il fuoco / per non morire”; “Dove sono gli intelligenti / mentre inizia l’inventario degli assenti?”.
Ma altrettanto giustificate e convincenti sono le scelte di poeti più riservati e indulgenti, come Umberto Saba e Giorgio Caproni, o addirittura dichiaratamente conservatori come Montale, esemplificato nella sua composizione più alta, più coraggiosamente risentita: Piccolo Testamento (“Ognuno riconosce i suoi: l’orgoglio / non era fuga, l’umiltà non era / vile, il tenue bagliore strofinato / laggiù non era quello di un fiammifero”)
Se questa antologia “arbitraria, faziosa e parziale”, come viene definita dal curatore e prefatore Stefano Guerriero, è riuscita a evitare “il rischio dell’enfasi retorica”, poteva forse sbilanciarsi maggiormente presentando voci più giovani e arrabbiate, scandagliando nelle pieghe di una produzione poetica alternativa, marginale, troppo trascurata.
I nostri poeti: Antologia civile essenziale dell’Italia repubblicana
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