Il Conte di Chanteleine
- Autore: Jules Verne
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2018
Jules Verne: molti lo conoscono fin da bambini come un popolare autore di romanzi d’avventura. La firma Giulio Verne sulla copertina di un libro di narrativa per ragazzi era una garanzia. Oggi sorprende scoprire un suo titolo, pur sempre d’azione, attestato su posizioni antigiacobine, ben poco tollerate in Francia, nel suo secolo (Nantes 1828 – Amiens 1905). Il merito della proposta va alla casa editrice abruzzese Solfanelli di Chieti, che nel 2018 ha dato alle stampe una delle prime opere del romanziere francese, “Il Conte di Chanteleine. Un episodio del terrore”, 128 pagine 12 euro.
È opera di un Verne ancora giovane romanziere, nel 1864, dopo il primo grande successo editoriale di “Cinque settimane in pallone” (1863). Rilegge la sollevazione anti rivoluzionaria del 1793 in Vandea, con l’adesione esplicita dell’autore, sebbene lo si veda sostenere la popolazione locale più che sposare la causa del re e dei nobili.
L’argomento era tabù nella sua Francia, dove regnava un imperatore nipote di Napoleone. Infatti, quando lo scrittore chiese al suo editore di pubblicarlo come romanzo, dopo l’uscita a puntate su una rivista, Hetzel oppose un netto rifiuto, nonostante i proventi certi che quel romanziere emergente avrebbe assicurato. Monsieur Pierre-Jules era un convinto repubblicano e mai avrebbe acconsentito ad apologizzare la controrivoluzione vandeana, che riteneva reazionaria, finanziata da paesi nemici e stroncata dalle truppe repubblicane solo a costo di grandi perdite e di torture crudeli, inflitte dai rivoltosi ai soldati feriti e prigionieri.
La prima pubblicazione di questo romanzo breve, all’interno di un’antologia, risale oltralpe solo al 1971 (al 1974 in un volume singolo). In Italia apparve invece fin dal 1876 e nel 1894 contava già sei edizioni, sull’onda del grande successo nostrano di “Giulio” Verne.
Del contesto storico del romanzo si è detto: attraverso le vicende di un autentico nobile protagonista, l’autore fa vivere momenti della guerra in Vandea non risparmiando ai lettori accenni alla violenza inaudita che i giacobini autorizzarono per reprimere l’insurrezione in terra bretone contro la rivoluzione. Si erano sollevate in armi forze irregolari costituite soprattutto da contadini, in rivolta per difendere la fede cristiana, che vedevano minacciata dai repubblicani. Verne fa presente che a quegli spiriti semplici poco era importato che le teste rotolassero, compresa quella del re e che i nobili perdessero i titoli, le proprietà, tanti anche la vita. Quello che non tolleravano era l’allontanamento dei loro curati dalle parrocchie, la chiusura di molte chiese e l’esproprio dei beni ecclesiastici, sequestrati dalla rivoluzione.
Fu la leva militare obbligatoria a dare il via alla rivolta, che in 16 mesi ebbe prima successo poi venne battuta una prima volta. L’arruolamento di lungo periodo per le guerre ai confini aggrediti dai sovrani antirivoluzionari spopolava di braccia valide villaggi e campagne.
Come in tutte le guerre civili, l’odio corse più veloce dei cavalli dei dragoni e perfino delle fucilate. Le tecniche di guerriglia, gli agguati e la crudeltà degli insorti nei confronti degli avversari eccitavano le rappresaglie spietate delle truppe regolari francesi. Ogni combattente vandeano aveva cucito sul petto un emblema rosso: una croce latina sul sacro cuore palpitante di Gesù e il motto dei ribelli antinazionali era “Dieu le roi – Dio è il re”, inaccettabile per chi vedeva nella Revolution l’unica ragione identitaria.
In più, l’inclemenza del Terrore in atto a Parigi spinse a sperimentare logiche di sterminio ai danni della popolazione bretone ostile al credo rivoluzionario. Si scatenò una campagna di genocidio etnico, in anticipo sugli orrori del XX secolo. Commissari politici giacobini e militari di altre province si impegnarono senza scrupoli nello sterminio di massa di avversari che consideravano arretrati e barbari. Il filosofo Francois Babeuf parlò di “popolicidio”, davanti all’eliminazione scientifica di ogni vandeano, senza riguardo all’età e al sesso.
La realtà superò ogni possibile fantasia. Il germe reazionario andava estirpato alla radice: vennero sperimentate tecniche per uccidere in fretta il maggior numero di prigionieri, comprese epidemie alimentate nelle carceri, distruzioni sistematiche del cibo nel territorio per causare la morte per inedia, fucilazioni di massa, tecniche da Terzo Reich (camere a gas e forni crematori, concerie di pelle umana). Da 150mila a 200mila le vittime.
I giacobini inventarono gli annegamenti di massa (le noyades): stipavano uomini, donne, bambini con le mani e i piedi legati su barconi che venivano affondati al centro della Loira, i superstiti finiti a colpi di picca, in mezzo al fiume.
Colonne di giustizieri battevano le strade. Si provò anche a gassare (le fumigation), asfissiando sventurati vandeani rinchiusi in ambienti ristretti. Non dettero però i risultati sperati. Qualche risposta, anche di natura economica, venne dalla trasformazione dei cadaveri di donne e bambini in grasso animale multiuso. Aberrante!
Il conte, col servo e fratello di latte Kernan, torna dopo una sconfitta nel castello di Chanteleine. Ma gli è stato espropriato, la moglie uccisa, la figlia prigioniera. Vendetta e giustizia saranno fatte.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il Conte di Chanteleine
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