Il Tenente lombardo
- Autore: Pier Paolo Puglisi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2010
“Il generale Cialdini non ordina, ma desidera che di Casalduni e Pontelandolfo non rimanga pietra su pietra”. Sono disposizioni ambigue, la cui esecuzione avrà un impatto sulla storia di un’Italia ancora da fare nell’agosto 1861. Atrocità della guerra civile e della repressione del brigantaggio nel Mezzogiorno, dopo l’impresa dei Mille e l’unificazione, sono lo sfondo e il contenuto di un romanzo, Il Tenente lombardo (128 pagine 13 euro). La casa editrice mantovana Sometti lo ha pubblicato nel 2010, secondo prodotto narrativo di un luminare della scienza medica, il genetista e al tempo stesso umanista Pier Paolo Puglisi.
È uscito postumo, perché l’uomo di scienze e di lettere è morto nel 1997, a sessant’anni, dopo una vita spesa su tanti fronti, dalla medicina alla ricerca innovativa, con progetti coordinati personalmente a Cuba e in Vietnam. Già leader del movimento studentesco pavese nel ’68, sempre attivo nelle sfide a favore dei più deboli, il prof. Puglisi era anche pittore e un valido scrittore, come si è scoperto dopo la sua scomparsa. Nello sforzo di comunicare, di cercare nuove forme di linguaggio, univa due temperamenti e, se si vuole, due mondi e culture, quella siciliana per parte paterna e quella lombarda della madre.
È lombardo, come apprendiamo dal titolo, anche il tenente Enrico Broglia, 24 anni, mantovano, un anno intero già passato in divisa. Da quando è stato richiamato, ha combattuto per l’unificazione nazionale a Montebello, Solferino, Castelfidardo. Non è ufficiale di carriera e ha pure quella che a certi superiori sembra una macchia: è di vaghe idee liberali, non ben accette dai monarchici conservatori che costituiscono la maggior parte del corpo ufficiali, ora accresciuto dagli ex borbonici, che avevano comandato reparti dell’esercito di Francesco II ed hanno poi accettato di servire il neonato Regno d’Italia.
Tuttavia erano proprio i giovani patrioti di idee moderne come Enrico che stavano realizzato il sogno risorgimentale di unificare quasi tutto il Paese e la loro passione veniva sfruttata da Casa Savoia a proprio vantaggio dinastico.
Nel caldo bollente dell’agosto meridionale, due dei sessanta battaglioni schierati nel Sud (mezzo esercito regio) marciano verso i paesi ribelli nel Beneventano. Dopo una processione, aizzati dai preti, gli abitanti di Casalduni e Pontelandolfo avevano bruciato le effigi di Garibaldi e di Vittorio Emanuele. Si erano scatenati contro i notabili filoitaliani, assaltando le case e trucidando alcuni malcapitati. Un plotone di quaranta bersaglieri, inviato sul posto, era caduto in un’imboscata dei briganti della zona, aiutati da contadini. I soldati superstiti erano stati torturati e uccisi.
La Chiesa e il re borbone esiliato a Roma fomentano la rivolta di ceti popolari contro i piemontesi. Il fuoco divampa nelle zone interne del Mezzogiorno continentale. Broglia cerca di capire perché.
Lo inviano sul posto, per “fare rapporto sui fatti”, così li chiama il Comando, al quale è pervenuto un laconico dispaccio: “Ieri, 14 agosto 1861, giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni ribelli”.
Scortato da un drappello di Cavalleggeri di Nizza, il tenente attraversa il Volturno, notando intorno le tracce di una grande miseria. I contadini non possiedono niente, tutto il terreno coltivabile è dei nobili. La mattina vanno in piazza con l’unica speranza d’essere scelti come braccianti per quella giornata, altrimenti è la fame. Ma non doveva cambiare tutto, una volta cacciati i Borboni?
I due paesi sono un mucchio di rovine fumanti. Gli uomini in età da portare armi sono incatenati, sorvegliati dai fanti. Guardano con rabbia. Mai l’esercito aveva dovuto affrontare una furia popolare tanto feroce e si era dovuto imporre con la durezza dei conquistatori. Il colonnello che ha il comando sul campo parla di una specie di “campagna coloniale”, come se il Sud Italia fosse Africa.
Di ritorno a casa nel Mantovano, col fidato attendente, anche lui di quelle parti e compagno di giochi da bambino, Enrico appare provato. Il papà lo trova molto cambiato. È silenzioso. A pranzo con gli ospiti sembra assente.
Il giovane rivede i corpi straziati dei bersaglieri, ma ricorda anche l’asprezza di quella terra ballerina del Sud: campi con più pietre che frumento, acqua che manca o si raccoglie fin troppa in paludi malsane. Presso il mare, sorgono capanni malfermi, guardati da cani rinsecchiti. Non mancano grandi aranceti e piantagioni di limoni, ma appartengono a pochi proprietari gelosi. I coni di antichi vulcani dominano paesaggi di lava e boschi impenetrabili coprono i fianchi dei monti, incisi dal calcare sfasciato.
I soldati reprimono duramente la rivolta di uomini inselvatichiti da una vita grama. Alla protesta per le promesse tradite, si sono visti rispondere con fucilate, sciabolate, colpi di cannone. Ed ora vanno via, affollano i porti, salgono sui bastimenti che li portano in America, Argentina, Australia, a cercare un futuro che nel Sud non possono avere.
Cinque anni dopo, la guerra non risparmia quella generazione.
Broglia ha combattuto ancora contro gli austriaci nel 1866, poi è andato a Palermo, a reprimere una rivolta. Colpito, si allontana da un Meridione sedotto e abbandonato, una Terra ancora più ferita del tenente mantovano.
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