Il caso Moby Prince. La strage impunita. Nuove rivelazioni e documenti inediti
- Autore: Francesco Sanna e Gabriele Bardazza
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Chiarelettere
- Anno di pubblicazione: 2019
È un falso d’autore la ricostruzione ufficiale della tragedia del traghetto Moby Prince, la sera del 10 aprile 1991 a Livorno, il più grave incidente della marineria italiana dal secondo dopoguerra. Lo dimostra la relazione della Commissione parlamentare, resa nota nel gennaio 2018, dopo due anni d’inchiesta e base del lavoro del giornalista Francesco Sanna e dell’ingegnere Gabriele Bardazza, consulente della famiglia del comandante della nave, che per Chiarelettere hanno realizzato e pubblicato nel 2019 Il caso Moby Prince. La strage impunita. Nuove rivelazioni e documenti inediti (182 pagin), libro-inchiesta ispirato dal rispetto verso i familiari delle 140 vittime, ancora in attesa della verità.
Un testo puntuale, che confuta la versione accettata finora e smonta in particolare i due pilastri delle assoluzioni decise: non c’era nebbia in rada e le vittime non sono tutte morte entro mezz’ora dalla collisione, nel rogo del traghetto.
Per ragioni di servizio, ho partecipato pochi anni fa a una cerimonia nell’anniversario nel porto di Livorno, dal quale il Moby salpò per la Sardegna, arrestando tragicamente la rotta 23 minuti dopo, alle 22.25, poco oltre la diga foranea. Mai avrei pensato di ritrovarmi in un’atmosfera di dolore vivo, tra i parenti dei passeggeri ed equipaggio, periti in quella maniera atroce. Era come se si fosse consumata il giorno prima una tragedia sparita da decenni dalla cronaca nazionale. Non c’erano rappresentanti del Governo a gettare fiori in mare dalla banchina Calata Carrara n. 55 e si notava l’assenza della grande stampa, a parte quella locale.
Una dramma dimenticato, una verità che manca da quasi trentanni, che gli autori fanno di tutto per avvicinare. Sebbene le ipotesi che avanzano non possano considerarsi definitive, demoliscono quanto di errato è stato dato invece per acquisito. Per amore della giustizia, raccontano tutta un’altra storia.
Fanno luce innanzitutto sulla “fiction” in onda da 29 anni: non c’era nebbia a disturbare il traghetto e a nascondere la petroliera Agip Abruzzo, alla fonda quasi certamente in un settore della rada inibito all’ancoraggio, per non danneggiare i fondali attraversati da cavi e condotte.
Dalle acque marine appena 1° più fredde dell’aria non poteva levarsi il banco citato nelle carte e che ha indirizzato verso una soluzione in grado di escludere le responsabilità di chiunque, facendole ricadere solo sulla plancia del Moby, in particolare sul capitano Ugo Chessa, deceduto e quindi nell’impossibilità di difendersi. Una ricostruzione che faceva gravemente torto al migliore comandante della flotta Onorato e che dava per certa la morte sopravvenuta non oltre la prima mezz’ora a bordo. Questo assunto escludeva chi aveva diretto i soccorsi verso la petroliera in fiamme, ignorando a lungo l’altro natante e poi considerando inutile ogni intervento sul traghetto che bruciava alla deriva, in rotta circolare.
Una bara infuocata galleggiante, eppure non lo era ancora per tutti. Restava qualche possibilità di sopravvivere anche in quelle condizioni disperate e forse di essere salvati. Lo dimostra il salvataggio dell’unico superstite, 1 ora e 20 minuti dopo l’inizio dell’incendio: a poppa, il mozzo Alessio Bertrand era riuscito a tenersi al riparo da fumo e fiamme. Lo prova il corpo del cameriere Antonio Rodi, ripreso intatto, nel sorvolo del relitto la mattina dopo, sul ponte più alto di coperta e solo qualche ora più tardi combusto dalle alte temperature delle lamiere su cui era riverso.
Quanto hanno vissuto i due uomini ritrovati asfissiati, ma non ustionati nella sala macchine non raggiunta dal fuoco (solo dall’ossido di carbonio)? E in quale momento collocare le manate impresse sulla fuliggine che aveva già coperto le auto nel garage? Nessuno a bordo era stato ucciso dalla collisione e non tutti sono morti contemporaneamente, come dimostrano i valori differenti di ossiemoglobina nel sangue e di sostanze tossiche inalate dalle povere vittime carbonizzate nel salone delux, con paratie tagliafuoco che potrebbero avere garantito condizioni di sopravvivenza per oltre un’ora.
Tutto questo depone per un comportamento corretto dell’equipaggio, che ha tentato di radunare i passeggeri nel luogo più sicuro, con indosso i giubbotti di salvataggio.
Un’altra fake news, che ha retto solo pochi giorni, voleva il personale di governo distratto nella delicata uscita dal porto, ma in plancia non c’erano televisori che potessero trasmettere la diretta dell’andata Barcellona-Juventus di Coppa delle Coppe. Resta non chiarito il motivo della violenta accostata a sinistra effettuata dal Moby verso l’enorme fiancata della petroliera, peraltro interessata da un curioso fenomeno osservato da testimoni: non la nebbia, piuttosto un vapore biancastro, come quello che si leva nello spegnimento di una fonte di grande calore.
Non è tanto intorno al traghetto che si addensa il mistero (a parte le tracce di uno scoppio che potrebbe avere danneggiato le eliche di prua), quanto sull’Agip Abruzzo. Nella cisterna n. 7 squarciata dalla prua del traghetto c’era greggio o nafta, ancora più combustibile?
Nello scenario entrano la base USA livornese di Camp Derby, lo scarico da mercantili militarizzati per la guerra del Golfo di armi per i depositi di Tombolo, navigazioni notturne in rada non consentite e petroliere in punti di ancoraggio interdetti. Sono entrati in azione anche i Servizi (quelli italiani hanno sfornato relazioni) e c’è infine un accordo assicurativo fin troppo sollecito tra le compagnie coinvolte (Navarma per l’Abruzzo, Onorato per il Moby), che ha fatto di tutto per chiudere i risarcimenti e tenere i congiunti fuori dai processi. Ma le famiglie non si sono fermate, nonostante le “sconfitte” inferte dalle sentenze. Con i leader Loris Rispoli e Angelo Chessa continuano la battaglia per la verità, navigando controcorrente rispetto a chi si accontenta della fiction o si ostina a raccontarla.
I tempi sono maturi per non chiamarla solo tragedia, ma considerarla strage, una fattispecie penale imprescrittibile.
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