Il colpo di spugna. Trattativa Stato-Mafia: il processo che non si doveva fare
- Autore: Nino Di Matteo, Saverio Lodato
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2024
Ora che il 27 aprile 2023 si è concluso con formula assolutoria definitiva il processo in Cassazione a Palermo sul patto Stato-Mafia (1992-1994), processo decennale carico di ombre non diradate, iniziato nel 2013 a Firenze con le rivelazioni di Giovanni Brusca, Salvatore Cancemi e Vito Ciancimino, uno dei suoi protagonisti, il magistrato Nino Di Matteo, ha sentito la necessità di scrivere un libro su questa vicenda tragica, cardine della politica italiana, insieme al giornalista Saverio Lodato, che nel testo lo intervista.
Il libro si intitola Il colpo di spugna con il sottotitolo Trattativa Stato-Mafia: il processo che non si doveva fare (Fuoriscena, pp. 112, 2024).
Fresco di stampa, focalizza alcuni punti chiave della sentenza, la quale ha un sapore denigratorio nei confronti dell’accusa. Sono state vanificate circa diecimila pagine di documenti in tre processi, con centinaia di testimonianze di pentiti, probanti, centinaia di interrogatori, compresa la deposizione fondamentale di Massimo Ciancimino, figlio di Vito Ciancimino. Massimo Ciancimino in sede processuale attesta l’esistenza di due "papelli" mafiosi, due liste, uno con le richieste allo Stato di Totò Riina, l’altro meno categorico di Ciancimino padre.
Entrambi i "papelli" contenevano il patto di interrompere le stragi mafiose, dopo Capaci (uccisione di Falcone) e via D’Amelio (uccisione di Borsellino), dopo le bombe di Roma, Torino e Firenze, e in cambio si chiedeva l’eliminazione del 41 bis carcerario per gli assassini, o la sua attenuazione.
I “papelli” sono scomparsi.
I documenti relativi ai contatti tra Napolitano e la mafia sono stati bruciati. In tal modo la formula assolutoria in Cassazione ha stabilito che per gli ufficiali del Ros Mori, De Donno e Subranni non sussiste dolo (sentenza già affermata in precedenza nel ricorso in Appello); per i mafiosi come Bagarella l’assoluzione è stata garantita dai trascorsi termini di prescrizione (oltre 22 anni dal reato); Dell’Utri ed altri vengono assolti per insufficienza di prove.
Il tono di Di Matteo, intervistato da Lodato, è molto amaro, anche ironico ma non mai rassegnato:
Tutto cancellato. Tutto inutile. Tutto da rifare. Si poteva trattare con la Mafia. Si può trattare con la Mafia, si potrà trattare con la Mafia. Lo Stato può scendere a patti con il suo avversario ultrasecolare.
La reiterazione dell’assunto è spalmata nel tempo, a significare che:
“Cosa Nostra resta l’unica organizzazione criminale con licenza di condizionare, intimidire, terrorizzare il suo nemico, alla quale non verrà mai meno la speranza di trovare interlocutori sugli spalti dell’altra sponda.”
La cosa veramente avvilente è che nella sentenza di Cassazione (appena 91 pagine smilze contro la poderosa documentazione accusatoria), si legge che l’accusa ha condotto l’inchiesta: “secondo un approccio metodologico di stampo storiografico” e le motivazioni sono state sottoposte a “eccessiva dilatazione”.
Nino Di Matteo difende l’impianto accusatorio di tipo storicistico. Sostiene che è stato necessario in quanto la mafia è un fenomeno che caratterizza la nostra storia da 150 anni. Non si possono trattare i singoli episodi malavitosi, scrive, staccati l’uno dall’altro, parcellizzandoli; essi costituiscono un intero lungo processo, comprensibile solo se visto nel suo insieme. Tale è la visione storicistica.
Giudici e PM infaticabili e onesti sono stati sottilmente e inspiegabilmente presi di mira, come se fossero loro i colpevoli.
Nel giudizio della sentenza si assiste a un ribaltamento della realtà di tipo orwelliano: il bene e l’espletamento accurato e pure molto rischioso del proprio dovere diventa un male, è:
Uno schiaffo in faccia che non meritavano i giudici e i pubblici ministeri che avevano istruito il processo. Un attacco frontale che ha lasciato attoniti i tanti cittadini che avevano seguito con attenzione e speranza quello che accadeva nell’aula bunker di Palermo e che avevano colto in quel processo il segnale di una giustizia finalmente uguale per tutti. […]Ma non è andata affatto così.
A NIno Di Matteo attualmente viene contestato di tenere conferenze nelle scuole e presso associazioni. Egli continuerà la sua opera divulgativa della verità. “La verità offende”, recita un proverbio. L’attacco ai giudici antimafia è stato spesso ingiurioso, fino ad arrivare a definirli "assassini". Ed è scandaloso.
Il comitato fiorentino dei parenti delle vittime delle stragi è stato umiliato da questa sentenza indefinibile. La coscienza morale sa come definirla: immorale, secondo la voce del comitato suddetto.
Il colpo di spugna
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