Il diario perduto di Frida Kahlo
- Autore: Alexandra Scheiman
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Casa editrice: Rizzoli
- Anno di pubblicazione: 2013
“In questa sera tranquilla, un rumore insistente rimbomba nel quartiere di Coyoacán. Sono gli zoccoli di un cavallo che trotta sul selciato”.
Nel giorno dei morti l’eco risuona in ogni angolo avvisando gli abitanti di questo rione di Città del Messico che un misterioso visitatore è arrivato come ogni anno in questo giorno da molti anni. “Un uomo a cavallo che va al passo” lascia dietro di sé una corrente d’aria come quella dei morti o dei fantasmi. Il cavaliere si ferma all’angolo con calle de Londres davanti a una casa blu cobalto “con grandi finestre che sembrano occhi giganteschi”. Il Messaggero scende da cavallo, raggiunge il portone, tira la corda del campanello e il portone viene aperto da Chucho, “l’indispensabile servo di ogni casa che si rispetti”. Mentre il servo si fa diverse volte il segno della croce, l’uomo entra in “un salone delle meraviglie” arredato con mobili fatti a mano, piante esotiche, statuette di divinità precolombiane. La sala è composta di contrasti, dove convivono oggetti intrisi di dolore, “ricordi di momenti gioiosi, ombre di sogni mai realizzati” che parlano dell’”universo intimo” della proprietaria in attesa del suo ospite in camera. Non è la prima volta che il cavaliere entra a Casa Azul (Casa Azzurra), luogo nel quale amici e conoscenti vengono ricevuti con gioia. Non una semplice abitazione ma un santuario, rifugio e altare della sua padrona, perché la Casa Azul è Frida Kahlo (1907–1954), grande pittrice ribelle messicana. Nella sua camera, dove gli oggetti raccolti raccontano i desideri dimenticati di una donna condannata a vivere inchiodata a letto, l’artista è di volta in volta
“Frida la santa patrona della malinconia, Frida la donna della passione, Frida la pittrice dell’agonia costretta all’immobilità”,
con lo sguardo sempre fisso sugli specchi, al cui riflesso non può sfuggire. Il Messaggero entrando nella camera si accorge della sofferenza della donna dall’espressione del viso e appare molto più vecchia del mezzo secolo che ha vissuto.
“Ti ho chiamato per portare un messaggio alla mia Madrina. Desidero spostare il nostro appuntamento. Quest’anno non ci saranno offerte. Voglio che venga domani. Dille che spero che il viaggio sia gioioso, e che questa volta non voglio tornare”.
Appena il cavaliere lascia la camera, Frida tira fuori dal cassetto del comodino un piccolo taccuino con la copertina nera rovinata “vecchio ricordo dei giorni sereni” da lei chiamato Il libro dell’erba santa, perché all’interno ci sono scritte le ricette gastronomiche che la pittrice prepara per ornare l’altare del giorno dei morti, per onorare una promessa fatta molti anni prima per rinviare di un anno l’appuntamento con la sua morte. Quando il marito Diego Rivera (1886–1957, illustre pittore murale) torna a casa, trova sua moglie addormentata. Il giorno dopo, il 13 luglio 1954, la rivoluzionaria del colore è spirata a causa di una complicazione respiratoria. Questa volta la morte “la Madrina” che durante 47 anni di vita di Frida spesso ha fatto la sua comparsa, ha compiuto il suo giro.
«Le ultime parole che Frida scrive sul suo quaderno sono queste: “Spero che il viaggio sia gioioso, e stavolta spero di non tornare”».
Nel suo romanzo d’esordio Il diario perduto di Frida Kahlo (Rizzoli, 2013, titolo originale del volume: Hierba Santa, traduzione di Lucia Taddeo), rallegrato da gustose ricette del Paese di Frida e suo, l’autrice messicana Alexandra Scheiman riscrive l’universo colorato, sensuale, magico come i suoi dipinti di un’icona del Novecento protagonista di una mostra in corso alle Scuderie del Quirinale a Roma (20 marzo – 31 agosto 2014).
Attraverso le pagine del volume, il lettore scopre come l’arte e la vita formarono un legame inestricabile per la pittrice, la cui arte sorprendente, straordinariamente vitale che seppe riflettere le trasformazioni sociali e culturali che portarono alla Rivoluzione messicana, non può lasciare indifferenti. Il carattere impetuoso di Frida era dato dal miscuglio proveniente dai suoi genitori: dal padre Guillermo, tedesco, pittore e fotografo emigrato in Messico dall’Ungheria, Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón aveva ereditato la cocciutaggine, dalla madre Matilde ”l’alterigia di tutte le donne della nobiltà messicana”. Un grave incidente occorso a 17 anni nel 1925 aveva minato questa “tragica colomba dalla zampetta ferita” ma non la sua tensione morale. Costretta a casa a letto, Frida aveva iniziato non solo a leggere molti libri, alcuni dei quali sul movimento comunista, ma anche a dipingere. Il suo primo soggetto era stato il suo piede che la giovane intravedeva tra le lenzuola. Per sostenere questa passione i genitori avevano regalato alla figlia un letto a baldacchino con uno specchio sul soffitto in modo che Frida potesse vedersi. È da questa intuizione dei genitori che la futura artista seppe sublimare il proprio immenso dolore per farlo diventare arte e iniziato la serie di autoritratti, uno più colorato e originale dell’altro. La Casa Azul, evocata con sensibilità dall’autrice, a tanti anni dalla scomparsa di Frida Kahlo è rimasta intatta così come volle Diego Rivera che la lasciò al Messico. La dimora è continuamente meta di migliaia di visitatori affascinati da questa abitazione semplice e bellissima, piena di vita e forza interiore proprio come lo fu la sua proprietaria.
“Il taccuino fu rinvenuto tra gli oggetti della casa-museo di Frida Kahlo e fu esposto per la prima volta al pubblico durante la grande mostra dedicata alla pittrice allestita al Palazzo di Bellas Artes in occasione dell’anniversario della sua nascita. Il giorno in cui fu inaugurata, il taccuino sparì”.
Il diario perduto di Frida Kahlo
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