Il diavolo. Storia iconografica del male
- Autore: Laura Pasquini
- Genere: Religioni
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Carocci
- Anno di pubblicazione: 2024
È un volume affascinante e prezioso Il diavolo. Storia iconografica del male di Laura Pasquini (Carocci, 2024). Ricco di illustrazioni, ripercorre la figura del diavolo attraversando i secoli, gli immaginari e le mille maschere che ha assunto il male in culture diverse, segni multiformi, talvolta ben noti, ma spesso sorprendenti, inaspettati e spiazzanti.
Il percorso della studiosa inizia dalle culture pagane che, come le religioni politeiste, potevano evitare l’assillo di una codificazione standardizzata (anche iconografica) per l’ovvia ragione che il mito o la molteplicità di figure presenti nelle religioni orientali, specie l’India, automaticamente si prestavano a configurare variegate rappresentazioni del male. Laddove, e soprattutto nel Cristianesimo, meglio ancora dire nel Cattolicesimo (e considerando che nell’Ebraismo la bestia immonda è assente, fin quando arriva il momento in cui “la teodicea apocalittica ebraica si concentra sul tema della caduta e del distacco definitivo da Dio di Satan”) questo male è a carico tutto del diavolo, chiamato necessariamente in causa per giustificare l’errore rispetto al principio che, per dirla con il poeta, “Dio è amore”. I padri della Chiesa ebbero notevoli difficoltà a concepire una giustificazione al male – Cristo era morto invano?
Se il dualismo bene-male per altri si faceva principio fondamentale del senso del mondo, allora occorreva contrattaccare per rendere solida la dottrina che avrebbe cambiato la storia. Il diavolo ebbe più facilità a penetrare la dottrina stessa e l’immaginario, con una pressoché immediata conseguenza: mito, saperi popolari e raffinate, dotte elucubrazioni concorsero all’evidenza che trasformarsi, insinuarsi in anime e corpi altrui, assumere sembianze nuove oltre che naturalmente inquietanti era la condizione propria del diavolo stesso.
Esso può avere il suo corredo stereotipato di corna, coda e ali grottesche ma non gli è difficile “mettere lo zampino” nelle fattezze più angeliche di questo o altri mondi – il diavolo è ingannevole, altrimenti tale non sarebbe.
E tanto vale anche per il suo decorso storico: l’arte cristiana dei primordi pesca nell’armamentario dei bestiari, gli spiriti malvagi nel Medioevo s’impossessano di animali ma anche di uomini, appaiono le prime figure antropomorfe del diavolo che col tempo appare particolarmente ferino, animalesco o antropizzato che sia, ma per fortuna confinato nell’inferno.
La memoria della stessa cultura pagana diventa fonte di preoccupazione: deformità assortite, dimensioni spropositate, aspetti lubrichi dicono agli occhi delle nuove genti cristiane (ancor più quando immerse nella vertigine ctonia e non del tutto controllabile del folclore) che le tentazioni diaboliche sono all’opera - lo stesso Cristo ne ha saputo qualcosa. Dopo i cauti mosaici ravennati, soltanto col romanico e il gotico l’arte però s’incarica di prendere di petto la faccenda e la proteiforme terribilità del malefico mostro si palesa nella rappresentazione del tema in Italia e in Europa.
“Femmine ignude, dalla sensualità ostentata” invadono gli edifici religiosi dell’arte romanica e ne incapricciano i capitelli. Vi sono “immagini agenti”, utili a ricordarsi la presenza del tentatore, a spaventare la coscienza. C’è per esempio il diavolo trifronte ben noto a Dante, esempio di Lucifero con tre facce (apparso peraltro già nella cultura pagana); Dante probabilmente conosceva la figura dei tre dannati in bocca a Satana, i chiostri romani e quello di Treviso (dove soggiorna fra il 1305 e il 1306).
Nel Rinascimento invece appaiono diavoli anche piacenti, secondo la cultura innamorata del corpo: è lì che la figura comincia a risultare seducente, a partire dal diavolo-donna della copertina, opera di Leonardo da Pistoia (San Michele che scaccia il demonio), con la coda di serpente e le ali di pipistrello, e poi Michelangelo, Signorelli, Raffaello, e il barocco Guercino del San Michele Arcangelo combatte Satana, in cui quest’ultimo esibisce muscolatura poderosa.
Il racconto, argomentato, attento sempre alle varianti, ai dettagli, inserito nel necessario contesto culturale, passa attraverso i secoli successivi: dal Paradiso perduto miltoniano, in cui il diavolo è ribelle contro la chiesa ottusa refrattaria alla comprensione dell’altro da sé, al Faust dialogante con Mefistofele, giunge fino alla rivolta del moderno, in cui l’elemento satirico e apertamente polemico verso le regole imposte dal potere si fa sempre più visibile e diffuso (si pensi all’uso del tema in un classico come Il dizionario del Diavolo di quel diavolo di Ambrose Pierce, che lo scrisse mentre era al seguito delle truppe messicane di Pancho Villa), fino al significato ambiguo che la figura del diavolo assume nel romanticismo (quanti sono cresciuti con le incisioni del diavolo fascinoso di Gustave Dorè, interprete notevole della Commedia dantesca?) e ancor più in certe culture contemporanee.
Laura Pasquini prolunga l’indagine fino alle immagini del web, dove emerge sempre più chiaro come l’iconografia si rinnovi e il sacro si allontani irreparabilmente - a ogni epoca il suo diavolo, insomma. Meravigliosi, per fare due esempi lontani più di un secolo uno dall’altro, il “Lucifero” di Franz von Stuck, mistico, tenebroso e sensuale a un tempo e quello “Senza titolo” di Basquiat, che Pasquini legge in chiave anti-razziale.
Gli esempi sono molti, impossibile renderne conto in questo breve spazio; la stessa autrice dichiara di non aver nutrito pretese di esaustività per via dell’inesauribile ricchezza del tema. Il diavolo. Storia iconografica del male è un gran bel libro.
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