Il generale immaginario
- Autore: Richard Brautigan
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2009
Primo romanzo del poeta americano Richard Brautigan che con "Il generale immaginario" sviluppa le tematiche delle sue poesie nella forma di un racconto dal sapore surreale, onirico, spensierato, disilluso e irresistibilmente divertente.
Lee Mellon, il delirante emarginato protagonista di questo libro, è convinto di essere nipote di un generale confederato della guerra di secessione americana, anche se non vi sono tracce della sua esistenza in alcun documento. Nella sua stregua battaglia contro la storia e la società viene affiancato da Jesse (il narratore) che sembra credere alla nobili origini di Lee e lo segue in una baracca sperduta tra i boschi lungo la costa del Big Sur, già luogo di culto del movimento beat (in un breve cameo si accenna ad un Henry Miller che ritira la posta dalla sua cassetta delle lettere). Nel volgere di poche settimane i due protagonisti si troveranno alle prese con un frastornante stagno pieno di insopportabili rane, alligatori che mangiano costolette di maiale, un ambiguo personaggio di nome Roy che gira con una valigetta piena di contanti, due donne bellissime e sognatrici, sbornie, droghe e alcool.
Il pretesto della ricerca dell’antenato serve a Brautigan per affrontare le tematiche beat e hippy che saranno poi il suo pane quotidiano nelle opere successive. I riferimenti sono chiari: dalla vita nei boschi di Thoreau, al rifiuto beat della società occidentale, al sogno dell’amore universale degli anni sessanta. Ma Brautigan è in grado di andare oltre e crea una realtà unica ed irripetibile in cui il sogno di libertà, la lotta per la sopravvivenza e il soddisfacimento dei bisogni più animali dell’uomo si intrecciano in un vortice di poesia ed ironia.
Le assurde vicende in cui si trovano invischiati i due protagonisti mettono in luce il vero pensiero dell’autore che identifica il sogno della contro cultura americana in un abbandono dell’uomo alla natura, agli eventi, al caso, sottintendendo fermamente il rifiuto delle regole imposte dalla società occidentale. Da un lato abbiamo quindi l’atto di ribellione di fuggire dalle metropoli e cercare un senso all’esistenza e alle proprie origini in un luogo sperduto, dall’altro vediamo come l’immobilità dei protagonisti, incapaci o disinteressati nel costruirsi un futuro, non quello convenzionale almeno, sia il filo conduttore delle loro vite. Il presente è l’unica cosa che conta, alla maniera buddista, e gli eventi e le soluzioni ai problemi arrivano in qualche modo portati dall’universo. I soldi non sono più un problema, così come non lo sono più la fame o il desiderio di una donna, il divertirsi o lo sballarsi. In un attimo di lucidità il narratore sembra avere un dubbio (“molto tempo fa questo era il nostro futuro”), ma poi viene riassorbito dalla vita reale, per quanto stralunata e folle, dalla poesia della natura, dell’amore e davanti a sé, come nel finale, ci sono infinite strade da percorrere, infiniti finali, tutti differenti eppure della stesso valore.
Il generale immaginario
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