Il grande dandy
- Autore: Marcello Sorgi
- Genere: Musica
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Rizzoli
Nel 1955 Domenico Modugno si ispirò al suicidio di un noto personaggio dell’aristocrazia siciliana e, malgrado l’improvvisa scomparsa fosse avvenuta in modo del tutto diverso dal testo, compose una delle sue canzoni più famose: “Vecchio frack”. Ricordiamo alcuni versi di questa struggente ballata:
“S’ avvicina lentamente / con incedere elegante/ ha l’ aspetto trasognato / malinconico ed assente / Non si sa da dove vien / né dove va”. L’uomo è da "Belle Époque": “Ha un cilindro per cappello / due diamanti per gemelli / un bastone di cristallo / la gardenia nell’occhiello”.
Tutto è buio intorno e sembra di udire il tonfo del suicida, il cui corpo sarà scoperto all’alba:
“Sul fiume silenzioso / e nella luce bianca / galleggiando se ne van / un cilindro, un fiore, un frac”.
Marcello Sorgi ne ha ricostruito la biografia, narrandola nell’opera Il grande dandy – vita spericolata di Raimondo Lanza di Trabia, ultimo principe siciliano (Rizzoli, Milano, 2011). Palazzo Butera, affacciato al golfo di Palermo, è la residenza dell’antico casato, il cui stemma familiare è un leone rampante, proteso verso lo stendardo dei Lanza di Trabia. Ecco apparire sulla scena don Giuseppe Lanza, i cui tratti si manifestano sin dalla prima pagina:
“diplomatico, poliglotta, primogenito del più importante casato siciliano ed erede designato del primo titolo del regno d’Italia”.
La storia, che si intreccia con la potente famiglia imprenditoriale dei Florio (donna Giulia, sorella di Ignazio Florio, con una dote di quattro milioni contanti sposa don Pietro Lanza, genitori del principe don Giuseppe), muove dall’ambiente isolano e si sviluppa a seguito dell’avventura amorosa tra Giuseppe e la contessa Madda Papadopoli, già sposata con il conte Ludovico Potenziani di San Mauro e madre di una bambina. Siamo nel 1915 quando i due amanti, lontano dalla Sicilia dove si grida allo scandalo, si ritrovano nella solitudine di una villa lombarda. Il bambino che sta per nascere non può chiamarsi Lanza, giacché nato fuori dal matrimonio. Il neonato, dopo una settimana, viene iscritto all’anagrafe come Raimondo Ginestra, nome preso da uno dei numerosi feudi dei Lanza. Felice la sua infanzia trascorsa tra Vittorio Veneto, residenza familiare della madre, e Roma, luogo di lavoro del padre dopo aver lasciato l’ambasciata di Londra per coprire la carica come sottosegretario alla Guerra.
Gustosa la ricostruzione di Sorgi; con una scrittura lineare e discorsiva mostra il fascino delle cose antiche, nei vari contesti socio-storici di epoche e dinastie i cui lussi scivolavano in una lenta decadenza. Vale la pena di accennare ad alcuni momenti di questo bizzarro personaggio. A dodici anni Raimondo – ultimo erede maschio del casato -, insieme al fratellino Galvano e alla madre, in occasione del funerale del padre si introduce nel lussuoso palazzo palermitano per rimanervi a lungo. L’integrazione nella famiglia dei nonni è però difficoltosa: scarsi i suoi spazi di autonomia per il rigore ossessivo dell’educazione in un ambiente proibitivo. Irregolare e indisciplinato negli studi, amante di avventure e doppiogiochista, frequenta i salotti romani quando il fascismo è al suo apice. Affascina Edda Ciano e Galeazzo, ministro degli Esteri, mostrando il suo comportamento eccentrico e facendosi apprezzare per le doti inesauribili “di affabulatore e abile tessitore di conoscenze e relazioni”. Susanna Agnelli sua fidanzata così lo vedeva in “Vestivamo alla marinara”:
«Quando entrava in una stanza era come un fulmine. Tutti smettevano di parlare o di fare quello che stavano facendo. Gridava, rideva, baciava tutti, scherzava. Divorava il cibo come una macchina per tritare rifiuti, beveva come un giardino assetato in un deserto, suonava il pianoforte, telefonava e mi teneva la mano, tutto contemporaneamente».
L’indagine documentata di Sorgi si coniuga con l’inventività e ad affiorare è la psicologia di un personaggio dalla vita movimentata:
“Nello stesso giorno riusciva a parlare dieci volte con Barassi, il presidente della Federazione calcio, poi con Perón, lo statista argentino, con Ranieri di Monaco, con Soraya, la moglie dello Scià di Persia Reza Pahlavi, e ancora con Edda Ciano, con Luchino Visconti e con Curzio Malaparte. Così che tutte le stagioni recenti e lontane della sua vita gli ruotavano attorno, rassicurandolo. E dandogli, la sensazione soprannaturale, di poterle vivere ancora tutte contemporaneamente”.
Ebbe tutto don Raimondo; ebbe l’amore di Olga Villi, attrice di successo ed ebbe troppo successo. Caduto in depressione, era ormai l’ombra di se stesso. A 39 anni la decisione di ammazzarsi. All’alba del 30 novembre 1954, completamente nudo, spicca un salto, “il volo più lungo”, dalla finestra della sua suite all’Hotel Eden di Roma. Finiva così in modo tragico forse l’ultimo grande principe siciliano che si consumò in quella decadente aristocrazia dipinta nel "Gattopardo" dal suo lontano parente Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
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