Il grande massacro del ’14-’18
- Autore: Alessandro Gualtieri, Mario Bussoni
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2015
Il grande massacro del ‘14-’18. La guerra che non doveva scoppiare : dal titolo si direbbe un saggio sulla prima conflagrazione mondiale nel suo complesso, quello pubblicato dalle edizioni Mattioli 1885 di Fidenza-Parma ad ottobre del 2015 (158 pagine, 15 euro), avviando le iniziative editoriali per il centenario del conflitto. Leggendolo, invece, ci si rende conto che si tratta di un severo atto d’accusa nei confronti del responsabile supremo ed unico della condotta bellica italiana, il generalissimo Luigi Cadorna, chiamato sul banco degli imputati nel tribunale della storia dagli autori, esperti di storia militare e di guerra di trincea, Mario Bussoni e Alessandro Gualtieri.
“Aveva poche idee in testa e tutte sbagliate”: il giudizio lapidario di un sottoposto definisce icasticamente il comandante in capo dell’esercito grigioverde. Lo guidò in guerra in modo pressoché dittatoriale da fine maggio 1915 al novembre 1917, quando la rotta di Caporetto annullò tutti i sacrifici delle truppe e le conquiste territoriali costate perdite enormi, sul fronte alpino, carnico e isontino-carsico, al confine con la nemica Austria-Ungheria.
Quando nel luglio 1914, dopo l’improvvisa scomparsa di Alberto Pollio, Cadorna venne incaricato di sostituirlo nella carica di capo di Stato Maggiore Generale, le nostre forze armate non erano oggettivamente in grado di affrontare nessun tipo di confitto, né breve né lungo, né convenzionale né tanto meno moderno. Al sessantaquattrenne generale piemontese toccò mettere mano all’intero apparato militare, sotto tutti gli aspetti, tecnici, logistici, umani.
Entrando in guerra dopo ben dieci mesi rispetto agli altri, non si avvantaggiò in alcun modo dell’esperienza negativa che aveva sorpreso i colleghi già belligeranti, per lo schiacciante vantaggio delle risorse difensive su quelle offensive. Tutti erano stati costretti a scavare trincee e attestarsi, nell’inedita e logorante guerra di posizione, dispendiosa sotto ogni aspetto, a cominciare dal sacrificio umano.
Non prevenne in alcun modo la stasi sanguinosa anche sul fronte italo-austriaco. Anzi, si mantenne cocciutamente fedele a un concetto napoleonico di guerra “a spallate”, contro un nemico ben arroccato. La mancanza di adeguate informazioni non gli consentì peraltro di sfruttare la debolezza iniziale delle linee difensive nemiche, sguarnita di uomini, ancora in via di trasferimento della Galizia e dalla Serbia. Si intestardì nel cercare di penetrare in Slovenia e venne fermato sul Carso e a Tolmino. Trascurò, inoltre, il pericolo del saliente trentino, che Napoleone si era invece preoccupato di occupare. Infatti, nella primavera del 1916 un’offensiva austro-ungarica dalle montagne ai lati di Rovereto riuscì quasi a sciamare nella pianura vicentina, alle spalle del grosso delle nostre truppe sull’Isonzo. Se lo spostamento di reparti dal Friuli - questo ben attuato dallo stesso Cadorna - e le vittorie di Brusilov sul fronte russo non avessero bloccato la manovra avversaria, ce la saremmo vista davvero brutta, con l’esercito tagliato fuori nel Nord-Est e isolato dal resto del settentrione.
Rigido, intransigente, intollerante delle critiche, impermeabile anche ai più intelligenti suggerimenti: qualità negative che hanno oscurato qualsiasi dote, come la capacità di organizzare complessi spostamenti con efficacia.
Il generalissimo non aveva in nessuna considerazione la vita e le sofferenze dei suoi soldati. Della componente umana del Regio Esercito aveva una cognizione astratta: autentica carne da cannone, semplici numeri sulle carte, scartoffie che adorava e tra le quali si muoveva a suo agio. Ufficiali, sottufficiali e truppa erano semplici pedine, da muovere sul campo e nei cui confronti deteneva un totale diritto di vita e di morte, senza alcuna riserva o scrupolo di carattere morale.
Insensibile e autoritario nei confronti dei combattenti – dette gran lavoro alle corti marziali - era distante e severissimo nei riguardi degli ufficiali superiori al comando al fronte. Li teneva sotto un pugno di ferro, alimentando un clima di insicurezza e terrore, negando la minima autonomia operativa. Chi sbagliava, secondo il suo giudizio, veniva inesorabilmente rimosso, “silurato”, anche per responsabilità ricadenti invece su errate valutazioni dell’Alto Comando. Furono 807 i comandanti di reparti da lui cacciati, compresi 217 generali e 255 colonnelli. Nello Stato Maggiore Generale, a Udine, la tabella dei vertici di divisioni, brigate e reggimenti veniva compilata a matita, tante erano le cancellazioni e modifiche da apportare continuamente.
Quanto ai suoi ordini operativi, impartiti da lontano risultavano spesso avulsi dalla realtà e all’atto pratico fatalmente irrealizzabili, limitati al solo, drammatico, attacco frontale allo scoperto. I comandanti sul campo non avevano facoltà d’iniziativa e si guardavano bene dall’assumerla, questo si rivelò fatale nelle prime settimane, quando una possibile penetrazione più decisa venne ritardata per il timore infondato di un “tranello” nemico. Avvenne così che posizioni che si sarebbero potute occupare con sforzo relativo divennero l’obiettivo di mesi di offensive sanguinose, contro baluardi difensivi attrezzati dagli austroungarici, ai quali si era dato tempo di rafforzarli. E attaccarli richiese sacrifici spaventosi, al limite di veri “omicidi di massa”.
Una precisazione: a Bussoni si deve la ricostruzione del conflitto, in una narrazione tesa e antiretorica, come la definisce l’editore nella prefazione. Gualtieri ha curato le schede di approfondimento che consentono di mettere a fuoco aspetti specifici di quel conflitto, dalle armi e tecnologie fino alla creazione della Società delle Nazioni nel dopoguerra.
IL GRANDE MASSACRO DEL ’14-’18
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