Il marchese di Palabanda
- Autore: Pietro Picciau
- Genere: Avventura
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2016
Corsari, arrembaggi, trame, spionaggio e rivolte. Tornano le avventure alla Dumas, nel Mediterraneo del primo Ottocento, degli eroi di uno scrittore sardo d’azione, Pietro Picciau, giornalista de L’Unione Sarda ed anche autore di teatro. Per le edizioni cagliaritane Arkadia ha pubblicato il romanzo di cappa e spada “Il marchese di Palabanda” (luglio 2016, pp. 278, euro 16,00), sequel di una prima storia che aveva per titolo “Le carte del re” (Arkadia, 2014).
Raccontano le imprese e gli amori - mercenari e non - le congiure e le azioni di due avventurieri ed eroi e sullo sfondo la cospirazione e le rivolte anti Savoia in Sardegna, prima fomentati dai giacobini poi da Napoleone, tra il 1794 e il 1812.
Pietro Picciau, sempre brillante nelle fasi d’azione, tra abbordaggi e agguati nei vicoli, è particolarmente attento ad una ricostruzione fedele delle vicende storiche, per come si sono svolte effettivamente. Sono romanzi a tutto tondo, ma che per un altro verso si possono leggere come un libro di storia, animato dalle dinamiche narrative movimentate ed eccitanti dei due protagonisti e di tanti personaggi di contorno.
Picciau li ripresenta in una breve premessa dedicata ai lettori. Siamo allo spartiacque del primo decennio dell’Ottocento. Dopo la conclusione della storia precedente, l’ex ladruncolo e galeotto parigino Julien de Barras e il pirata maltese Delbac sono a Marsiglia. Ricordano ancora gli anni di rivolta trascorsi in Sardegna a sostegno della fazione filofrancese che faceva capo al magistrato della Reale Udienza sarda don Giovanni Maria Angioy, un personaggio leale e reale, deceduto nel 1808. I due, sempre complementari, capaci di moltiplicare insieme le rispettive qualità, sono agenti dei servizi francesi e mentre seguono l’irresistibile ascesa del corso Bonaparte in Europa, aspettano d’essere coinvolti in una nuova missione segreta.
Julien e l’amico pirata non hanno dimenticato quanto vissuto a Cagliari, le loro ferite, la sorte dei seguaci dell’ex Alternos, catturati dalle truppe del sovrano piemontese di Sardegna e condannati dai tribunali. Non li consola, secondo quello di cui ci informa l’autore, la soddisfazione di avere regolato i conti con alcuni dei più crudeli aguzzini. Prevale l’amarezza della triste fine in esilio di don Angioy.
Julien de Barras (attenzione alla “d” minuscola nel cognome, adottata arbitrariamente proprio perché fa tanto nobile) è stato un manolesta di talento nei bassifondi criminali di Parigi e non vive che per l’avventura. Ancora ragazzo, era fuggito dalla Bastiglia il giorno della Rivoluzione, per imbattersi in un agente segreto francese che lo aveva arruolato e fatto addestrare. Poi lo avevano inviato in missione in Sardegna, come guardaspalle di un bravo giudice, che patrocinava l’aspirazione dei sardi all’autonomia, strumentalmente sostenuta dalla Francia.
A Cagliari Julien aveva incontrato Delbac, che i vertici del servizio parigino avevano spedito di rinforzo al seguito di Angioy.
“Come un ex pirata maltese avesse fatto a diventare spia per la Francia è sempre rimasto un mistero”.
Certo è un uomo di grandi capacità operative. Scaltro, rapido, efficace: le qualità che l’avevano reso temibile quando guidava le sue ciurme in mare e negli assalti,
“erano state decisive in terraferma al servizio di don Angioy, prima che la fortuna voltasse le spalle al giudice”.
Negli anni trascorsi in Sardegna tra scorribande e agguati, donne e corsari, viceré e capipopolo, de Barras e Delbac hanno avuto il privilegio di seguire la parabola umana e politica di un leader tradito dagli uomini e dalla storia.
“Ma i veleni di quell’amara esperienza, a distanza di pochi anni, stanno per riaffiorare”.
1808-1812, ora a Parigi c’è un imperatore, a Cagliari addirittura due regnanti. Uno è il viceré di Sardegna Carlo Felice, regolarmente insediato sul trono vicereale. L’altro è il re, Vittorio Emanuele, secondo in linea di successione ma sovrano dal 1802, dopo l’abdicazione del primogenito Carlo Emanuele. Al momento, il regno di Vittorio è ridotto alla sola isola, dove è stato spinto a rifugiarsi dopo l’occupazione francese dell’Italia settentrionale. In Piemonte, a Torino e nel territorio della Savoia ci sono le truppe del corso.
Gelosie e rivalità minano i rapporti tra le due corti sardo-piemontesi, riassumendosi nei ruoli contrapposti dei capi dei due schieramenti: il “feliciano” marchese di Villahermosa e il comandante generale delle Armi del Regno, Giacomo Pes di Villamarina, fedele a Vittorio Emanuele. “Cerchez la famme”: secondo le regole della narrativa d’appendice non si sfugge dall’eterno femminino seminante zizzania, qui incarnato - proprio perché dotata di un corpo bellissimo - da Matilde di Grignant, sedicente contessa, in realtà figlia di un ladro e falsario veneziano fuggito a Parigi. L’affascinante trentenne è una spia. Amante di Carlo Felice tra gli altri, assicura i suoi servizi a chi è in grado di ricambiarla più generosamente, sabaudi, inglesi. Sotto a chi ha di più da offrirle.
Donne, cospiratori e battaglie: dagli abbordaggi dello sciabecco “Tonante” alla ribellione fallita del 1812 in località Palabanda… è tutto un romanzo.
Il marchese di Palabanda
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