Le carte del re
- Autore: Pietro Picciau
- Genere: Avventura
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2014
Una storia d’azione che ricorda Dumas. Avventure nelle isole tirreniche, in epoca rivoluzionaria e napoleonica. È il romanzo del commediografo, scrittore, giornalista de L’Unione Sarda Pietro Picciau, pubblicato a marzo 2014 dall’editrice cagliaritana Arkadia: “Le carte del re” (pp. 238, euro 16,00).
Pensate, uno dei personaggi si presenta come Morel, a ricordare l’armatore Morrel e figlio del “Conte di Montecristo”, capolavoro dello straordinario romanziere francese Alexandre Dumas.
Dopotutto, è proprio a questo Domenico Morel che si deve la storia narrata da Pietro Picciau, una vicenda di lame e moschetti, passioni forti e intrighi in Sardegna, a cavallo del 1800. Incontrando uno dei protagonisti – e voce narrante del romanzo – Morel si fa raccontare i fatti, che dal 1808, anno in cui avviene il contatto tra i due nel cimitero parigino di Pere-Lachaise, retroagiscono agli inizi della rivoluzione.
È la presa della Bastiglia, il 14 luglio 1789, che caccia fuori di prigione il giovane Julien de Barras. Ha venticinque anni, è in una “fetida cella” da tre e avrebbe dovuto restarci altri sette, per una “condanna frettolosa” dovuta a fatti che non intende rivelare ai lettori, avvalendosi dei privilegi del suo ruolo di Io narrante, appunto.
Riconosce che la Revolution lo ha salvato. L’assalto alla fortezza e carcere di Porte St-Antoine gli ha consentito di sgattaiolare attraverso la folla in tumulto, eclissarsi e cambiare nome. Barras è infatti una delle tante identità adottate, quella preferita per via del "de" minuscolo, che potrebbe indurre qualcuno a ritenerlo di origini nobili, soprattutto le donne, per quanto lo riguarda. Invece era solo un trovatello - figlio di nessuno, si diceva fino a qualche decennio fa, con un che di biasimo – adottato da una famiglia di macellai di origine alsaziana, che lo avevano battezzato Robert Junot.
Professione: borsaiolo. Non grandi reati o delitti, solo borseggi con destrezza, prima di lavorare come informatore e agente speciale della polizia segreta della Francia repubblicana. L’arruolamento era avvenuto proprio all’atto della fuga dalla Bastiglia.
Le sue qualità? Eleganza innata, prontezza e agilità mentale, oltre a saper leggere, scrivere e fare di conto, per merito di papà Junot, che glielo aveva insegnato. Ma era morto e la moglie non aveva mostrato la stessa generosità verso il ragazzino tredicenne. Lo aveva messo alla porta.
Gli anni di prigione non erano stati di villeggiatura, ma nemmeno di spreco. Ladri più esperti gli avevano rivelato i segreti dell’arte dell’effrazione, del furto, della falsificazione di documenti. Un sedicente conte gli aveva anche insegnato le buone maniere, assai utili nella buona società, insieme alla bella presenza.
Solo poche ore dopo essere stato liberato, era stato reclutato da uno sconosciuto autoritario, che lo aveva raggiunto lungo la Senna. Meglio lavorare per la polizia segreta che vagabondare facendo la fame.
Tre anni di onorato servizio ma niente azione, solo ascoltare e riferire ed ecco finalmente il primo incarico serio, nel 1792. Una missione in Sardegna, a mettere a frutto le lingue imparate: lo spagnolo da un compagno di cella, l’italiano da una bella teatrante.
Si tratta di raggiungere Cagliari e prendere contatto con il console francese. Questi gli rivela che la Repubblica ha grandi progetti in un’Europa che la rivoluzione ha messo in movimento. Dopo la Corsica, si pensa di acquisire altri territori, a partire dalla grande isola controllata dai piemontesi.
Lui dovrà prendere contatto con tutti i simpatizzanti per la causa transalpina, anche se le ambizioni francesi sulla Sardegna non sono viste di buon occhio. Non tanto dal popolino, che non avrebbe niente da perdere: sono i notabili, i nobili e il clero a diffondere false notizie sulla reputazione dei figli della rivoluzione. Vanno dicendo che i francesi rubano, sono avidi e violentano le donne.
A Cagliari, de Barras conosce due uomini determinanti in questa storia. Uno è il magistrato Giommaria Angioy, che diventerà il leader della sollevazione filofrancese che anima il romanzo. L’altro formerà una coppia inseparabile con Julien, che lo ha conosciuto come provvidenziale salvatore dall’agguato tesogli da due figuri mentre si accompagnava alla bella Antea, la prostituta greca tutta carattere e femminilità. Delbac è alto, imponente, la voce tonante. Nato a Malta da padre francese, ex corsaro e mercenario, ha trascorso dieci anni nelle galere per pirateria e traffico di schiavi, prima di passare ai servizi speciali. Ha l’incarico di affiancarlo nella missione. Si somigliano.
I due sono insieme, quando una flotta francese si avvicina al porto, a dicembre. Scatena il fuoco, a casaccio. Si parla di uno sbarco, ma le batterie costiere la convincono a portarsi fuori tiro. Uno sbarco per la verità riesce, ma è mal condotto e i miliziani hanno la meglio. Per tutta riconoscenza, il re da Torino ignora i sardi nei premiare la coraggiosa resistenza. Questo genera malcontento: buon gioco per le mire francesi, che in loco hanno due primattori in incognito: Julien de Barras e Delbac.
Pirati e corsari, trame e contro trame. Il romanzo d’appendice è servito.
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