Il medaglione
- Autore: Andrea Camilleri
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2005
Nelle comunità paesane, che danno l’idea più esatta della mentalità e del costume del nostro Paese, ad avere un valore non sono soltanto i “luoghi” o le “tradizioni”. I cittadini più autorevoli, e non tanto per censo, fino agli anni Sessanta del Novecento erano il parroco, il maestro elementare, il medico e, non ultimo, il maresciallo, che costituivano l’“anagrafe” più autorevole del paese. Se un cittadino aveva qualche problema, era uno di loro a farsi o a fare da consigliere. Nell’immaginario collettivo possedevano una sorta di carisma, grazie al quale venivano percepiti come “amici” e “pacieri”, anche secondo l’uso di un buon metodo preventivo. La gente, scrive Camilleri, diceva: “Marescià, vinissi a mettiri ‘u bonu…”. Ed egli ne spiega così il significato: “Mettere il buono: ossia dire la parola giusta, pacificare, appianare, fare in modo che la bilancia non penda troppo da una parte o dell’altra”.
E’ appena il caso di dire che il personaggio del maresciallo era, sotto altro aspetto, già apparso nel romanzo "Il corso delle cose". Lo ritroviamo ora, dopo quasi un trentennio e con una fisionomia marcatamente bonaria, ne "Il medaglione" (Milano, Mondadori 2005): “un racconto d’occasione” afferma il nostro scrittore, rispondendo ad una domanda postagli da Gianni Bonina. Scritto infatti per l’Arma dei Carabinieri, fu poi pubblicato nel 2005 nel calendario della Benemerita.
Si chiama Antonio Brancato il comandante della stazione di Belcolle, paesino immaginario, disperso sui monti, dove tutti sanno di tutto. La storia, di cui egli è il fulcro, è centrata sul motivo della gelosia, vissuta dal vedovo Ciccino Barbaro, in modo così allucinante da raggiungere momenti di follia. E’ il parroco, preoccupato dello strano comportamento di costui, a rivolgersi al Brancato, perché possa mettere in atto qualche espediente idoneo a farlo rinsavire. La soluzione è trovata nell’uso della menzogna a fin di bene. Tutto ruota qui attorno al medaglione portato dalla moglie, che al Barbaro aveva dato il convincimento di un tradimento coniugale per una relazione, forse più idealizzata che reale, e addirittura ancor prima del loro matrimonio. Le argomentazioni del maresciallo, sostenute dalla complicità dell’orologiaio del paese, fanno ormai apparire al vedovo la realtà sotto un altro aspetto. Egli finisce di sentirsi tradito, riacquista il ruolo di marito incondizionatamente amato e può togliersi il peso del disonore, abbandonandosi ad un pianto che lo libera dal suo rovello. Non è detto in maniera esplicita se abbia creduto o meno alla versione fornitagli dai due. E sicuramente no, se si pone attenzione alle parole dette dal tutore dell’ordine:
“Ciccino ci ha creduto perché voleva crederci. D’altra parte la storia che abbiamo inventato era semplice e plausibilissima ed è servita a ridare la pace a quel povero disgraziato”.
Nell’autoinganno non c’è più il sospetto a roderlo, ma il seppellimento di una verità che non si conoscerà mai. Chiara ormai la morale! Quando il maresciallo, soddisfatto per la buona azione compiuta, va via dalla casa di Ciccino Barbaro, afferma:
“Sacrilego e crudele scoperchiare le tombe per pura curiosità”.
In definitiva, il racconto, di buona fattura letteraria e organizzato con la finezza dell’osservatore attento ai meccanismi socio-psicologici della commedia umana, oltre ad essere ricco di umori pirandelliani (si può non pensare a Ciampa e alla sua verità?), coinvolge e pone problemi.
Il medaglione
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