

Il memoriale di uno studente. Dal 1915 all’attacco dei gas a Plezzo il 24 ottobre 1917
- Autore: Giovanni Alessandro Polidoro
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2016
Nato addi 8 febbraio 1897 in una ciase inta androne dal Muini di Sevean dal fo Remigio e da la fo Remigia Romano.
La vernacolare nota del papà registra la nascita del futuro sottotenente della Brigata di Fanteria Friuli nel primo conflitto mondiale e prigioniero di guerra, Giovanni Alessandro Polidoro, autore del diario inedito pubblicato da Gaspari Editore nel 2016, con il titolo Memoriale di uno studente. Dal 1915 all’attacco dei gas a Plezzo il 24 ottobre 1917; un bel volume di 192 pagine, nel formato album, 21x26 cm, della collana La storia raccontata e illustrata, ben corredato da fotografie, immagini e cartine in bianconero nel testo. L’ennesimo gioiello dello straordinario catalogo della casa editrice udinese, pieno di testi sulla Prima Guerra mondiale e per oltre due terzi riservato alla storiografia bellica militare.
Singolare e significativa la confezione di questo contributo memorialistico. Il diario del giovane friulano di Sevegliano è proposto così com’è stato riordinato dall’autore nell’ultima versione del 1956. Si tratta del puro e preciso contenuto delle annotazioni diaristiche riviste dall’ex diciannovenne di leva nella Grande Guerra quarant’anni dopo, alla soglia del sessantesimo anno d’età.
Da una scorsa sommaria al web, risulta che un’edizione del diario sia stata curata dal prof. Renato Damiani nel 2010, su iniziativa del Comune udinese di Bagnaria Arsa (UD), di cui Sevegliano è una frazione, e con il consenso della famiglia, in particolare del nipote Claudio. Gaspari ha scoperto il documento e deciso di pubblicarlo nel circuito editoriale ufficiale, per valorizzarne i contenuti di “preziosa testimonianza”, non solo degli eventi militari di cui riferisce, e di “affresco domestico della vita famigliare” in un paesino di campagna nei primi del secolo scorso, dettagliati dalla ricca documentazione fotografica.
Non c’è traccia di mediazione editoriale: si tratta della semplice per quanto accurata versione a stampa del memoriale. Nessuna pre o postfazione, aggiunta redazionale, nemmeno le note. È come leggere direttamente il manoscritto di Polidoro.
Dopo aver proposto come incipit l’appunto sulla nascita, spiega che proprio dalle carte paterne, tenute gelosamente chiuse nell’armadietto della stanza da lavoro, è nata l’idea di seguire l’esempio degli antenati e di lasciare qualche traccia di sé
ad un auspicabile discendente. Il lontano nipote godrà leggendo gli strafalcioni del suo antenato. Se non altro, potrà comparare il nostro vivere familiare con quello che sarà nella sua epoca.
Ha trovato in Claudio l’amorevole custode e divulgatore del suo valido scritto.
Nel giorno del signore 10 ottobre 1956, san Francesco Borgia, avvia la “commedia”, tornando giovincello imberbe, chiamato sotto le armi il 27 settembre 1916, distretto militare di Sacile. Era uscito da pochi mesi, con discreto onore, dall’istituto di ragioneria di Udine, al quale riconosceva di averlo temprato anche nell’amor di patria, che a quarant’anni di distanza riconosce “disordinato, inconsulto, stagionato”, consistente nell’odiare ferocemente l’Austria incentrata nel suo imperatore e re. Perché ce l’aveva tanto coi tedeschi? Ne aveva appreso in terza elementare le malefatte contro gli Italiani. Il maestro Schiff aveva il dono della parola e la lingua di fuoco. Nelle lezioni di storia (guerra d’indipendenza), pendeva dalle sue labbra in un banco di prima fila, sotto la cattedra. La fantasia di bambino lo portava in battaglia, sulla sella di un cavallo, criniera al vento, sciabolate a destra e a sinistra, macello d’innumerevoli austriaci. Nessuna morte era più bella e desiderata di quella al rullo dei tamburi e allo squillo della carica! La realtà è venuta più avanti, ammette. Ed è stata ben altra.
Scorrendo il testo, nel quale risaltano buone doti di scrittura, provoca una spontanea simpatia il suo imbarazzo all’atto di confezionare il primo pesantissimo zaino di fanteria, nella caserma distrettuale di Padova (per letti, mucchi di paglia sul cemento nudo, ma si dormiva ugualmente). Nel confronto con la disinvoltura degli altri, quasi tutti contadini abituati a lavori stancanti, il suo timore era che potesse risaltare il non avere fatto altro che portare i libri sotto il braccio.
Tra le tante, un’altra considerazione. Nel frequentare il corso allievi ufficiali di complemento a Ca’ delle Vallate (lungo lo Judrio), dopo un’esperienza di fante in prima linea, annota che la paura di non superare gli esami di fine istruzione è stemperata dall’impressione che in quel giugno 1917 la commissione si stia dimostrando di manica larga. È segno che la carenza di ufficiali subalterni al fronte stia spingendo a tirarne fuori di nuovi, buoni o meno, badando al sodo. La faccenda sembra poco simpatica: si deve supporre “che lassù ne rimangano stesi parecchi”.
Come si può capire dal titolo, Polidoro venne coinvolto nello sfondamento di Caporetto, in uno dei settori più esposti quel 24 ottobre 1917. Il suo battaglione della Friuli era nelle caverne e trincee dietro i reticolati sul Rombon, all’oscuro che i gas asfissianti avessero fatto strage silenziosamente di quello della Brigata steso in basso nella Conca di Plezzo, rimasta così indifesa. Sui rilievi, i fanti della Friuli non poterono nulla, scavalcati dagli austriaci e martellati prima e dopo dall’artiglieria nemica. Il sottotenente ventenne, ferito alla testa e non poco da un’esplosione e con una gamba fracassata, finì in prigionia. Una lunga degenza negli ospedali militari, trattamento impeccabile dai sanitari austriaci e delle infermiere, le amabili schwestern (sorelle). Verrà restituito all’Italia nel giugno del 1918, in uno scambio di feriti e mutilati, attraverso la Croce Rossa Internazionale e la Svizzera.

Il memoriale di uno studente dal 1915 all'attacco dei gas a Plezzo il 24 ottobre 1917
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