Il metro della felicità
- Autore: Luciano Canova
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2019
Se c’è una parola a cui è difficile dare un significato lineare e univoco è la felicità; ognuno di noi ha valori diversi a cui riferirsi e quel che rende felice una persona non è detto valga allo stesso modo per un’altra. Chi dà più importanza alla professione, chi invece più alla famiglia, per fare un esempio. Inoltre, ciò che adesso è fondamentale lo era molto meno secoli o millenni fa e viceversa. Gli “studiosi sociali”, ovvero coloro che per lavoro analizzano la società attraverso i dati a disposizione, compresi quelli offerti dal vasto mondo della “rete”, tramite rilevazioni ed esperimenti, hanno parecchio da dirci in proposito. Uno di loro è Luciano Canova, economista sperimentale, i cui studi si concentrano sull’innovazione digitale e la qualità della vita e nel saggio intitolato "Il metro della felicità", edito da Mondadori lo scorso marzo, fa un’analisi che, nonostante sia scientifica, risulta per il linguaggio utilizzato ritmica e appassionata. Lungi dal fornire ricette miracolose sul come vivere felici, espone semplicemente ‘storie’ e ‘risultati’, questi ultimi tanto singolari quanto illuminanti.
E se pensate che l’economia con la felicità c’entri poco, quando arriverete alla fine del libro vi dovrete ricredere. Innanzitutto – come spiega l’autore – l’economia, che a lui piace definire “la scienza delle decisioni”, è più adatta di quanto si pensi, in quanto i protagonisti delle “scelte economiche” sono gli esseri umani e gli esseri umani sono fatti di ratio e di emozioni. Tali variabili fanno sì che gli esiti non potranno mai essere certi in senso assoluto, ma permettono di inquadrare la tematica paradossalmente nella sua inesattezza.
Gli strumenti che hanno gli scienziati abbiamo detto essere vari, ma il primo indicatore dal punto di vista storico, nato nella prima metà del secolo scorso per far fronte a due diverse esigenze (quelle degli Stati Uniti in seguito alla Grande Depressione del 1929 e del Regno Unito preoccupato delle ingenti spese militari necessarie per affrontare la Seconda Guerra Mondiale) è il PIL, il famoso Prodotto Interno Lordo, ovvero la somma dei redditi di un Paese e quando si parla di benessere non ci si può esimere dal contesto monetario. Un celebre detto recita però che i soldi non fanno la felicità. Forse però è più corretto dire che fanno anche la felicità, in quanto sussistono ben altri aspetti di cui tener conto. Innanzitutto il lavoro, il quale oltre al denaro che lo remunera, porta con sé il significato intrinseco di una vita realizzata e gratificata, portatrice di dignità. L’ambiente in cui viviamo inoltre può fare da cuscinetto o all’opposto da amplificatore di una certa condizione: un conto è non avere un mestiere in un contesto di disoccupati, un altro conto è non averlo quando si abita in un tessuto socio economico elevato. La qualità delle relazioni, le motivazioni personali, la sensazione di avere una certa dose di libertà e autonomia, avere accesso a opportunità che consentano un giusto equilibrio tra casa e ufficio, sono tutti fattori che devono essere considerati e ognuno di questi ha il suo specifico peso. A parere dell’autore inoltre si sottovaluta l’importanza e l’incidenza nelle nostre vite della rivoluzione informatica apportata dai Big Data. Forse non ci pensiamo a sufficienza ma:
ogni micro-azione che facciamo, ogni parola che scriviamo, ogni movimento di una macchina possono trasformarsi in input digitale, grazie a sensori o algoritmi che quantificano il battito d’ali della farfalla, sotto forma di bit, e lo trasformano in un uragano di dati pronti all’uso.
In sostanza, le nostre relazioni grazie alla tecnologia sono nel concreto migliorate oppure no? Preferisco chattare con una persona che vive al capo opposto del pianeta piuttosto che frequentare un’associazione situata nella mia zona? I risultati esposti nel saggio sono sorprendenti a riguardo.
La vera sfida sta anche nell’esercitarsi a ‘sentire’ la felicità come parte di noi sempre, e non a fasi alterne. Lo dimostra il cosiddetto “adattamento edonico” che – spiega Canova – è quel meccanismo per cui scatta un’assuefazione ai beni di consumo, abituandoci ad essi (in base ai dati è emerso però che ci stanchiamo di meno nei rapporti dove c’è un coinvolgimento affettivo). Perciò, esemplificando, il vincitore di una lotteria è appagato sul momento o nei giorni immediatamente successivi, ma poi torna alla situazione ex ante oppure chi ottiene un aumento di stipendio tanto desiderato, alla lunga si troverà come quando era ai blocchi di partenza perché insieme alla maggiore quantità di denaro, cambia il punto di vista con cui guarda alle cose e al futuro. Potranno sembrare questioni scontate, ma se ci riflettiamo bene non lo sono affatto. Ecco perché gli antichi Greci davano più importanza alla qualità delle loro azioni più che alla durata della propria vita. Avevano capito che conta l’esistenza vissuta appieno. Purtroppo al giorno d’oggi tale assunto semplice e complesso allo stesso tempo lo si tende a dimenticare con troppa facilità.
Il metro della felicità
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