Il mistero di Evita
- Autore: Giovanni De Plato
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Chiarelettere
- Anno di pubblicazione: 2019
Don’t cry for me, Argentina (non piangere per me, Argentina): la vita e la morte di Eva Peron come un romanzo o un coro tragico, Il mistero di Evita, pubblicato a marzo 2020 da Chiarelettere (188 pagine), a firma di Giovanni De Plato, psichiatra e docente di psichiatria a Bologna, autore di manuali di neuroscienze, saggista, editorialista e anche romanziere, al secondo titolo dopo Il figlio del migliore (Pendragon, 2018). È anche un esperto della realtà sudamericana, consulente dell’OMS per la salute mentale nell’America meridionale e direttore di master nella sede di Buenos Aires dell’Ateneo felsineo.
Un coro tragico (ma un romanzo niente affatto pesante), con tre voci che si alternano nel racconto in soggettiva: quella di Eva, del marito Juan Domingo Peron e dell’avvocato sindacalista Carlos Maiorino, leader insieme a lei dei descamisados, il popolo di nullatenenti che andavano in piazza a manifestare a torso nudo e tenevano testa con la loro determinazione ai militari, che in Argentina non sono tolleranti, come dolorosamente noto, ed eseguono ordini spietati senza battere ciglio.
Quello che rendeva forti gli scamiciati (per dimostrare la totale povertà, non indossavano la camicia) era proprio non avere niente da perdere. Credevano fermamente nella piccola Eva, sapevano che non li avrebbe mai traditi, la chiamavano “santa”.
Il dottor De Plato si interroga nel romanzo se ad avere condannato la loro paladina non sia stato l’ascendente sulle masse, incontrollabili dagli altri. Potrebbe essere stata sottoposta all’esecuzione di una sentenza pronunciata da poteri forti, interni e soprattutto esteri, che avevano complici molto vicini a lei. I lettori troveranno tutte le risposte a dubbi e quesiti, possono starne certi.
Eva Ibarguen de Duarte, poi Maria Eva Duarte de Peron, per il mondo Evita, era una ragazza bellissima, un’attrice, poi prima donna della Repubblica argentina dal 1946 al 1952, quando finì per soccombere a un cancro e a cure inefficaci, alcune controproducenti, condotte negli ultimi tempi da specialisti che arrivavano in incognito dagli USA. Su ordine diretto del presidente Peron, le cartelle cliniche delle strutture ospedaliere di Buenos Aires dovevano recare solo firme di medici argentini. Da parte sua, Evita accettava d’essere curata esclusivamente da sanitari locali, addirittura iscritti al partito giustizialista, che faceva capo a lei e al generale consorte.
Il marito pretendeva dunque che in calce ai documenti clinici non dovessero figurare nomi stranieri e aveva pure imposto il segreto di Stato sugli atti. Buona parte del mistero, secondo la verità di De Plato (solo romanzesca?), si sostanzia nei tre interventi ai quali Evita venne sottoposta dopo il 1950. Nel primo, di appendicectomia, un illustre chirurgo, ministro dell’educazione nel Governo Peron, si limita ad asportare l’appendice, trascurando la presenza tumorale, di cui pure deve avere riscontrato evidenze nell’addome. Nel novembre 1951, l’attenzione è sul carcinoma del collo dell’utero, ma il clinico americano che opera si limita alla sola isterectomia, senza ripulire l’intero sistema pelvico cointeressato, omissione ingiustificabile. Il mistero finale resta la drammatica lobotomia di Freeman, una tecnica neurochirurgica già superata, che serve a eliminare il dolore, ma con l’esito prevedibile di ridurre la paziente a uno stato di coscienza molto limitata, quasi vegetativo.
La scelta del protocollo invasivo è del luminare statunitense incaricato, ma il marito e Capo dello Stato non oppone obiezioni, come se lo scopo dell’operazione non fosse recidere le vie di trasmissione del dolore, per dare sollievo a una paziente condannata dal male, quanto spegnere una voce pericolosa. Il quadro politico è critico, l’Argentina è agitata dal giustizialismo peronista, che Peron non controlla più e che preoccupa i militari, le oligarchie, la Chiesa conservatrice e le potenze mondiali di riferimento, Gran Bretagna e Stati Uniti.
Evita non sopravvive alla lobotomia prefrontale, si spegne il 26 luglio 1952 ad appena 33 anni. Il marito, ufficiale di carriera di buona famiglia e politico golpista, l’ama certamente, ma si dimostra consapevole del ruolo destabilizzante che l’ascesa della moglie ai vertici istituzionali sta esercitando sugli equilibri del Paese. I descamisados, che Evita scatena in Plaza de Majo esercitando il suo ascendente di “santa” dei lavoratori e dei poveri, sono indigesti alle classi dominanti argentine e ai vertici delle tre armi, determinanti per la stabilità del potere di Peron.
Il peronismo, nuovo verbo della gestione democratica dello Stato e della ridistribuzione della ricchezza tra le classi sociali, non può andare avanti a dispetto dei poteri forti interni e internazionali. Juan Domingo lo sa bene ed è consapevole che la moglie non si accontenta di fare la first lady simbolica del Paese, aspira a un ruolo, chiede di fare il vice Presidente di una Repubblica di cui il marito è Presidente. Una macchia per il prestigio di Peron e un ostacolo alla tenuta dell’indispensabile tregua con gli avversari.
Il quadro dei misteri e intrecci politici è ancora più ampio e l’autore lo illustra efficacemente. A parte quelle, belle le pagine in cui Evita spiega le ragioni del suo attaccamento sincero al popolo. Era una di loro anche lei, nata ultima di cinque figli senza padre, o meglio, il genitore lo conosceva ma non la riconosceva, un ricco allevatore di Los Toldos, 300 km da Baires, che come tutti i maschi argentini aveva diritto di vita e di sesso sulle donne.
Nella sua rivoluzione sociale, Maria Eva ha cercato di cancellare anche questa schiavitù di genere, nella società argentina di metà ‘900.
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