Il museo delle promesse infrante
- Autore: Elizabeth Buchan
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2020
Il museo delle promesse infrante di Elizabeth Buchan, edito da Nord (in libreria dal 9 gennaio 2020) e tradotto da Valentina Zaffagnini, è un romanzo dalla doppia anima, con uno spunto iniziale ben ideato ma forse non sfruttato a pieno potenziale.
Il titolo del romanzo rimanda a un museo ed è proprio tra le mura di quest’istituto culturale che inizia la vicenda di Laure, che attraverso le sale del suo museo ripercorre il proprio passato traumatico. Il museo ospita oggetti comuni donati da persone comuni, tutti legati da un unico filo conduttore: una promessa infranta.
L’organizzazione delle sale del museo prevede la disposizione degli oggetti accomunati da un tema comune: l’abbandono di una madre, un fallimento amoroso, una bugia paterna ritenuta “innocua”. Ognuno nella propria vita deve fare i conti con il dolore relativo a un’aspettativa, a una promessa, mai mantenuta.
Alle persone piace guardare gli oggetti, specialmente se sono legati da un filo conduttore. Chi potrebbe restare indifferente alla foto di una tomba sul fianco di una montagna con la scritta: ’Avevi promesso di non correre rischi’. Ciò che rende speciale il Museo delle promesse infrante sono le didascalie. Nella maggior parte dei musei, sono gli esperti a fornire le informazioni. Nel nostro, siete voi, il pubblico. Il nostro museo dà voce alle persone, a differenza delle altre istituzioni”.
Attraverso questo legame emotivo, accomunando oggetti a vicende passate, l’autrice ci riporta indietro nel tempo, nel passato di Laure, facendoci scoprire perché la protagonista abbia voluto dedicare la propria vita a un tema così doloroso.
Dalla Parigi dei giorni nostri alla Praga degli anni Ottanta: Laure allora era una giovane studentessa universitaria, che aveva perso il ritmo con lo studio e con il supporto della madre decise di passare qualche mese all’estero come babysitter della famiglia Kobes. La famiglia ceca risucchierà Laure negli intrighi della Cecoslovacchia del Patto di Varsavia e soprattutto nel dramma familiare. Petr, il capofamiglia, non era un semplice direttore di una casa farmaceutica, come Eva non era una semplice debole donna che aveva bisogno di una mano con i figli. Laure non potrà fare a meno di portarsi dietro quella continua sensazione di essere spiata, controllata, per tutto il resto della vita. A Praga farà la conoscenza di Tomas e della compagnia del Teatro delle marionette. È l’amore folle, giovanile, ardente, per Tomas, un amore mai provato prima e che mai riproverà, a portarla a fare scelte, promesse che non saprà mai se avrà infranto lei stessa o se sono state infrante da altri. Tomas e i suoi compagni non sono semplici artisti, animano lo spirito sovversivo anticomunista che pregna tutto il romanzo.
Le atmosfere e le emozioni umane di quegli anni sono descritte con grande forza dall’autrice, che forse si lascia affascinare eccessivamente dalle vicende storiche, sfociando spesso in una narrazione pesante e lenta. Questo è il punto debole del romanzo. Le vicende del museo e del presente inizialmente alternate con quelle del passato di Laure lasciano il passo a quest’ultime, assottigliando sempre più il legame, fin quasi a scomparire. Lo spunto iniziale della musealizzazione del dolore, delle emozioni, tanto forte e innovativo, viene totalmente abbandonato, lasciando spazio alla narrazione degli eventi storici, per esser ripreso soltanto nel finale.
Lo stile della Buchan è discontinuo, con un continuo alternarsi di descrizioni di avvenimenti storici, a momenti davvero toccanti e struggenti. Se non si è appassionati di storia contemporanea o del periodo in questione, il romanzo potrebbe risultare ostico. I personaggi hanno tutti una storia personale drammatica e segnata dalla volontà di un regime che diceva di voler il bene di tutti, ma che in fin dei conti asseconda solo il proprio benessere, travolgendo le persone e trattandole come se fossero delle marionette da usare e buttar via all’occasione giusta.
Oltre a Laure, Tomas e alla famiglia Kobes, trovano spazio nel romanzo una miriade di personaggi secondari, alcuni ben riusciti, soprattutto quelli del “presente” come la tenace giornalista May o il timido segretario Nic, mentre altri, specialmente relativi al passato, nonostante abbiano background interessanti e struggenti, sembrano più forzati e poco caratterizzati. A farla da padrone però sono sicuramente le evoluzioni emotive e psicologiche del freddo Petr, capace di adattarsi ai tempi, con la caduta del regime, in grado di capire i propri sbagli redimendosi, e Laure che solo nel finale riesce a perdonare sé stessa abbandonando l’ossessione che l’accompagna da sempre.
“Credo che la verità sia questa: troviamo difficile accettare la fine delle cose. Della gioia, del dolore e della vita stessa. Ma, mentre siamo qui, osservare un rituale o compiere un gesto formale ci offre conforto e un’illusione di coerenza. Donare al Museo delle promesse infrante, dove gli oggetti sono trattati con cura, rispetto e un po’ di umorismo, può avviare un processo di guarigione. Le storie che raccontiamo su noi stessi non sono sempre del tutto veritiere. Oppure non riusciamo a vedere con lucidità ciò che abbiamo fatto. Il museo offre la possibilità di stabilirlo e.… di far affiorare la verità. Dico queste cose perché so… so per esperienza personale cosa significhi infrangere una promessa”.
Laure scoprirà la verità del tragico destino dei fatti di quell’estate del 1986 solo anni dopo che riuscì a sfuggire dalle grinfie dei comunisti, riuscendo a trarne ancora più forza e motivazione. Perché tutti hanno vissuto una promessa infranta e i suoi risvolti tragici. Perché tutti siamo esseri umani e, in fondo, anche le “marionette” hanno una loro anima.
Il museo delle promesse infrante
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