Il nostro debito verso Stalingrado (un debito insoluto)
- Autore: Gian Carlo Abbaneo
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2019
Che la storia possa essere obliata o alterata lo si è sempre saputo- donde il detto che la storia la scrivono i vincitori – ma oggi, inondati da media e social con notizie false costruite in modo da sembrare vere, ci appare come una necessità ripensare anche il passato recente e la vulgata che lo caratterizza.
Così, fuori dal cerchio degli storici di professione, è opinione diffusa che, nel 1945, il nazismo sia stato sconfitto e, di conseguenza, l’Europa liberata, grazie all’intervento anglo-americano con lo sbarco in Normandia del giugno 1944.
In realtà le ricerche storiche degli ultimi 50 anni e l’apertura degli archivi prima segretati, mostrano con evidenza documentata che il disegno hitleriano di conquista dell’Europa fu contrastato e sconfitto in primis dalla Armata Rossa e dal popolo sovietico, resistendo all’operazione Barbarossa negli anni 1941-43 e respingendo gli
invasori da Mosca fino a Berlino nei due anni successivi.
La caduta dell’URSS nel 1991 e il perdurare della guerra fredda hanno contribuito al diffondersi di un revisionismo storiografico che sottovaluta il ruolo sovietico nella sconfitta del nazi-fascismo, pagata con l’esorbitante cifra di 20 (o 23 o 26) milioni di vittime russe. Quando, nel 2005, nessun leader dei paesi occidentali presenziò sulla Piazza Rossa alla parata commemorativa della vittoria sovietica - come accadde anche nel 2015-, Gorbaciov disse che quell’assenza era “un segno di disprezzo verso chi ha sofferto ingenti perdite per sconfiggere la peste nera del nazismo”.
Ora il libro di un ricercatore appassionato (Gian Carlo Abbaneo, Il nostro debito verso Stalingrado (un debito insoluto) , Albatros 2019) rilegge e riscrive ( la citazione di O.Wilde in esergo recita: ”L’unico dovere che abbiamo nei confronti della storia è quello di riscriverla.”) con sguardo realistico ed equidistante vicende politiche e militari che sono state viste in prevalenza alla luce deformata dell’ideologia vincente.
Il titolo, Il nostro debito verso Stalingrado (un debito insoluto) , richiama il giudizio morale che, a lettura finita, si impone sulla resistenza che a Stalingrado e non solo ha fermato la Wehrmacht e sull’oscuramento che nei paesi dell’Alleanza Atlantica il dopoguerra ha riservato al contributo sovietico alla vittoria, lo stesso che aveva evitato il possibile impero nazional-socialista da Dublino a Vladivostok sognato dal Führer.
Il coinvolgimento personale dell’autore – uno zio materno, alpino della divisione Cuneense, non ha fatto ritorno dalla spedizione in URSS – aggiunge il sapore di una sfida personale a capire e spiegare quanto accadde in Europa negli anni tragici dal 1939 al 1945.
Divisa in quattro parti, l’opera analizza dapprima gli antecedenti storici del conflitto tedesco-sovietico, con un excursus sulla mutazione che il concetto e la pratica della guerra hanno subito ad iniziare dal secolo scorso con il coinvolgimento dei civili nelle sempre più “asimmetriche” guerre in corso.
Aderendo all’interpretazione che del secolo breve ha dato lo studioso britannico Hobsbawm, Abbaneo nella prima parte ripercorre gli anni che precedono lo scoppio della guerra tra i due giganti totalitari: dall’ascesa al potere di Hitler al patto Ribbentroff-Molotov ai calcoli sbagliati di Stalin sulle imminenti mosse del Führer prima della dichiarazione di guerra.
L’autore sottolinea in particolare come nei primi due anni l’esito del conflitto non fosse affatto scontato e sembrasse anzi propendere per una facile vittoria tedesca, alimentando negli ambienti nazisti il delirio di una Europa “nera" dall’Atlantico al Pacifico.
La seconda e terza parte seguono i singoli anni di guerra dal ’41 al ’45 sul decisivo fronte orientale, dall’operazione Barbarossa che portò i tedeschi alle viste di Mosca, a Leningrado assediata per 900 giorni, a Stalingrado dove per 6 mesi, nelle case e nelle fabbriche (Ottobre Rosso e Barricady), sotto bombardamenti incessanti, si scontrarono 2 milioni di soldati. La 6^ armata tedesca fu circondata e decimata prefigurando la svolta del 1943 quando i nazisti furono sconfitti nella decisiva battaglia di Kursk. Qui i carri armati tedeschi Tiger e Panther, in uno scontro di uomini e mezzi di proporzioni mai viste, dovettero soccombere ai più agili T34 sovietici.
Ora la strada verso Occidente era spianata anche se la resistenza germanica non fu inferiore a quella sovietica dei due anni precedenti. Per la sconfitta segita dalla morte di Hitler, i comandanti nazisti incolparono chi il Führer, chi gli alleati dell’Asse, chi il “generale Inverno”. L’URSS per proprio conto esaltò la vittoria sul nazismo e si preparò ai lunghi anni della guerra fredda contro gli ex alleati occidentali e solo con Chruščëv avviò la revisione della figura di Stalin, mantenendo tuttavia la memoria dei caduti nella Grande Guerra Patriottica, come un filo rosso che unisce ancora oggi la nuova Russia all’URSS e alla Russia zarista.
In Occidente la propaganda presentò l’esito della guerra come una vittoria dell’alleanza euro-atlantica e, sulla scorta di tale lettura, impose un “american way of life” che isolava l’URSS e il suo sacrificio dalla consapevolezza dei popoli europei.
L’Italia a sua volta celebrò una campagna di Russia segnata da singoli episodi di valore più che dall’esito catastrofico di una spedizione improvvisata in vista di una rapida vittoria tedesca.
L’autore giudica “criminale” il piano italiano di aggressione all’URSS da parte di truppe male armate e impreparate a resistere in condizioni climatiche estreme in nome di una causa difficile da capire e da difendere.
Due brani tratti da romanzi molto diffusi (M.Rigoni Stern, Il sergente nella neve e G.Bedeschi, Centomila gavette di ghiaccio), che hanno contribuito a fare dell’impegno italiano in Russia un florilegio di episodi di commovente umanità, testimoniano la peculiarità dell’opera che presenta i fatti e li interpreta con i criteri dello storico de-ideologizzato, ma anche con lo sguardo intenso e partecipe dello scrittore a cui interessa, oltre al cosa, il come e a quale prezzo è accaduto.
Nella quarta parte dell’opera un capitolo è riservato agli autori russi che hanno scritto sulla Grande Guerra Patriottica e due appendici sono dedicate a brani significativi tratti dalle opere di Vasilij Grossmann (Anni di guerra e Vita e destino) e di Svetlana Aleksievic (La guerra non ha un volto di donna). Ricordando quegli anni, una ex-combattente confida alla scrittrice:
soldati e partigiani erano persone buone e oneste, non credevano in Stalin e Lenin ma nell’idea comunista. Nel socialismo dal volto umano, come l’avrebbero poi chiamato.
Dal conoscere i fatti al riconoscere i meriti e le colpe, il cammino è lungo e impervio, sia per i vinti che per i vincitori, ma la strada tracciata da questo libro è quella che, in tempi di nuovo difficili, ripercorre una storia che, dice Abbaneo, “un giorno è passata per la cruna del mattatoio di Stalingrado e dintorni” e da allora ha cambiata la geografia e la vita in una Europa divisa in due, succube una parte all’ “american way of life” e l’altra alle necessità politiche, economiche e militari dell’Urss, almeno fino al 1991.
Lo storico P. Veyne dice che “ storia è conoscenza mutilata”. Di essa sappiamo “ciò che è ancora possibile sapere”. Sul fronte sempre conteso delle vicende storiche, libri come questo ampliano le nostre conoscenze ma richiamano anche la necessità di dotarci di un giudizio etico che distingua meriti e colpe, per evitare che anche a noi, come a Macbeth, la storia appaia non altro che il racconto insensato di un folle.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il nostro debito verso Stalingrado (un debito insoluto)
Lascia il tuo commento