Il piccolo burattinaio di Varsavia
- Autore: Eva Weaver
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2013
Eva Weaver è una bella signora di mezz’età al suo primo romanzo. Di stile narrativo ne ha parecchio: quel modo di dire le cose limpido, commovente e spontaneo (non con questo che non sia frutto di un lavoro attento, ma parlo piuttosto del risultato finale, così diretto da arrivare al cuore, senza fronzoli).
Il Piccolo Burattinaio di Varsavia è una storia piena di emozioni in contrasto, di sensazioni che si assopiscono e di altre che rinascono: è l’intreccio di due vite e poi tre, quattro, dieci, mille e milioni.
La storia è vista attraverso gli occhi di Mika, il burattinaio, che inizia a raccontare la sua vita dall’adolescenza. Tutto ha inizio tra le innumerevoli tasche di un vecchio cappotto: la storia di tante altre storie che in esso hanno trovato rifugio, conforto, ispirazione, nostalgia e rammarico, calore, protezione, alle volte divertimento, altre volte terrore e un freddo pungente nell’anima.
Racchiude nel suo piccolo universo l’amore e la crudeltà, la sofferenza e lo sconcerto, l’umiliazione e la colpa di una Germania carnefice anche a distanza, anche quando non sapeva di esserlo, e di un popolo martoriato, quello ebraico, qui visto nella piccola grande sezione di Varsavia e del suo ghetto. Dal lento ma inesorabile confinamento degli ebrei all’inspiegabile crudeltà dei tedeschi, alla cieca abnegazione nei confronti dei comandanti da parte di soldati e civili che non avevano nessuna idea di ciò che stava accadendo oltre il muro del ghetto. E poi ancora l’altra faccia della medaglia: le domande, le bugie, le conseguenze, la sofferenza degli stessi tedeschi, puniti con la stessa medicina riservata alle loro vittime sacrificali. Lì dove dei semplici burattini, costruiti con oggetti di fortuna, ma animati dall’appassionata voglia di vivere del burattinaio e dei suoi piccoli e grandi amici, si fanno interpreti delle emozioni, si fanno viva incarnazione della gioia e spettro grigio dell’orrore. Tra tutti il Principe: nelle sue guance porporine, l’amore di un nonno e la forza di una madre.
Ma tutto è anche poi visto dagli occhi di Max Meierhauser, il soldato tedesco che per qualche strana ragione ha colto l’atrocità, l’ha perpetrata con le sue mani e ha vissuto sulla propria pelle quel che nessuno dovrebbe vivere.
Come trovare le parole per far da eco alla terribile realtà che questo libro narra? Molte sono state le voci che hanno raccontato dell’olocausto, probabilmente questa non è né la più veritiera (non è testimonianza di vita diretta), né la più esauriente. Sicuramente, però, lo spaccato a tratti poetico in mezzo alla cenere, a tratti doloroso a tal punto da far immedesimare il lettore, consegna un’immagine sfaccettata della frustrazione e delle parti coinvolte, dei risvolti storici, emotivi, abissali, che deportazioni e massacri hanno causato; consegna un vivido affresco degli strascichi che ancora oggi riverberano nelle immagini di repertorio, nell’ingenuo ma sano rifiuto dei bambini di fronte alla crudeltà dell’uomo.
Scommetto che nulla scompare mai del tutto. E non è forse bellissimo e terribile allo stesso tempo, amico mio? Proprio come le stelle.
Il piccolo burattinaio di Varsavia
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