Il piede sulla luna
- Autore: Michele Arcangelo Firinu
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2023
Michele Arcangelo Firinu è nato nel 1945. È sardo, ma vive a Roma. È stato un insegnante. Negli anni Ottanta è stato redattore del periodico Il bagordo. È stato uno degli ideatori di uno dei primi laboratori di scrittura creativa con il gruppo Orfeo80. È stato anche un operatore culturale, direttore artistico di “A libro aperto”, festival letterario della Sardegna. Ha pubblicato le sue poesie su riviste letterarie, siti letterari, blog culturali. Ha ottenuto molti consensi critici: basti pensare che tra i suoi estimatori vi sono anche poeti e critici molto rigorosi e per niente compiacenti come Giorgio Linguaglossa ed Ennio Abate.
Con questo bel libro Il piede sulla luna, pubblicato da Fermenti editore, raccoglie tutte le sue poesie scritte tra il 1980 e il 2023.
È un’opera pregevole, di elevata qualità, perché caratterizzata da un ottimo connubio tra contenuto e forma. Sono poesie comprensibili a tutti, ma permeate da una vasta cultura, che si può intuire dalle citazioni letterarie ( si vedano Leopardi, Baudelaire, Majakovskij), dai rimandi e richiami.
Allo stesso tempo non sono liriche elitarie, né esoteriche. Firinu parte in sordina, mantiene un profilo basso, in lui vige l’understatement:
Io sono un glomerulo di luce/ un nonnulla/ che dà il nome alle cose.
Ma è bene sottolineare che la sua non è sola nominazione: è soprattutto significazione, attribuzione di un senso alle cose.
Il professor Marcello Carlino nella sua ottima nota introduttiva parla di un “nichilismo fecondo” del poeta, però io non ne sono certo, devo ancora rifletterci, dato che forse il nichilismo è solo apparente, addirittura simulato, oppure forse è un meccanismo di difesa dal mondo.
La ricchezza lessicale, mai esibita e mai fine a sé stessa, conferma padronanza del linguaggio e appropriatezza nel dettato.
Spicca innanzitutto l’ironia, che talvolta diviene autoironia (non risparmia neanche le critiche alla categoria dei poeti, di cui fa legittimamente parte), che non si deve intendere come un divertissement, ma un modo per contrastare l’assurdità del mondo; sembra proprio che il poeta faccia suo il senso profondo di una frase de I fratelli Karamazov:
Io posso credere anche in Dio, ma non posso accettare questo mondo.
L’autore in questi versi manifesta la sua incredulità di fronte alle ingiustizie del mondo. Il volume è fatto di diverse sezioni, che hanno per oggetto un tema (il piede sulla luna, di qua e di là dal mare, in casa, per la via).
Come rivendica in modo giusto e sacrosanto Firinu la sua è una poesia che ha svariati registri ed è soprattutto poesia civile (si legga la bellissima Volano angeli dedicata a chi muore sul lavoro), ma a mio avviso il suo maggior pregio è quello di rappresentare e raccogliere i frammenti eterogenei del reale: è perciò riuscito il rispecchiamento di cui trattava ad esempio Lukács.
Un altro punto di forza sono le dediche, che ci fanno capire quanto l’autore abbia interagito con alcuni protagonisti delle patrie lettere, con cui ha fatto un significativo tratto di strada insieme. Non solo ma lodevole è il lavoro di demitizzazione del poeta nei confronti di icone e idoli del nostro tempo, che vengono messi a nudo nella loro pochezza (dalle veline di Striscia la notizia alla Borsa).
Inoltre non c’è mai troppa distanza, né troppo coinvolgimento emotivo. Non c’è mai troppo ottimismo, né troppo pessimismo. L’io si relaziona sempre al mondo, non lo perde mai di vista, c’è sempre un’apertura verso di esso.
Su tutto prevale una serenità d’animo coniugata con una non comune intellettualità, entrambe ben dosate, che non prendono mai troppo la mano: Firinu si dimostra sempre padrone di sé stesso.
I letterati hanno notato un “io scisso” in questa raccolta. A mio avviso c’è un io equilibrato, ben strutturato, senza eccessiva egoicità, né egotismo; è un io che non è mai straripante e diventa noi: ci sono gli affetti familiari (la moglie, le figlie) e c’è anche la partecipazione politica e culturale alla sua generazione, che ha perso, come cantava Gaber, ma ha anche rivoluzionato tutto.
Si percepisce perciò sia il sentimento di fratellanza, ma anche la disillusione e la sensazione autentica di sentirsi orfano della giovinezza, della sua generazione, del grande sogno, della sua giovinezza.
Ma tutto questo è appena accennato, perché il poeta non si crocifigge con le nostalgie e rimpianti, non specula su ciò che poteva essere e non è stato: non perde mai il senso della realtà odierna, rimane ben saldo con i piedi per terra al presente, non si volge mai troppo indietro; insomma è un attento osservatore, un testimone dell’epoca, in cui suo malgrado tra mille brutture è costretto a vivere.
Volontariamente riporterò qui una sola poesia, poiché non voglio spoilerare troppo: questo volume dovete acquistarlo e gustarvelo lentamente.
È una raccolta di poesie che per tutte queste ragioni consiglio vivamente, perché in queste pagine troviamo una voce originale e profonda della poesia italiana.
Firinu ci indica ciò che conta e che resta, senza mai ergersi a Vate, né senza mai fare le veci dell’ideologo o del moralista. Ci dà una bussola per orientarci. Ci indica una possibile via di uscita. Ci dice poi alla fine che l’importante è non perdere la capacità di sognare, ovvero di tenere “un piede sulla luna”.
Di seguito il testo integrale della poesia Volano Angeli di Michele Arcangelo Firinu, inclusa nella silloge edita da Fermenti editore.
Ai caduti sul lavoro, moltitudine;
All’Osservatorio di Bologna sulle morti sul lavoro in Italia, morti bianche, infortuni mortali sul lavoro, che di tale moltitudine tiene conto e memoria.Come volano gli angeli
che volano,
che volano dai tetti,
che volano e non hanno ali,
che sfidano i marciapiedi incatramati.Come volano gli angeli
quando li sprecano, non li proteggono;
come volano gli angeli dai palchetti
e non hanno ali,
non hanno freni si sfracellano
nei cortili dei cantieri desolati.Come volano gli angeli
nei cieli delle fiamme torinesi:
l’ala di fuoco, la mano di dio
li ghermisce,
li solleva,
li sbatacchia,
li sublima
nell’ordalia della linea cinque
degli altiforni della ThyssenKrupp.Come non volano gli angeli,
come non volano:
s’addormono dentro la Saras,
s’infetano dentro quell’amnios,
dentro quell’utero metallo-chimico,
nella bestemmia di desolforazione
al Mildhydrocracking;
come non volano quando s’accasciano,
sono tre e restano gli orfani: tre
in un amen.Oh, come volano, saettano gli angeli,
in un tempo molle che gli s’affloscia
sopra la testa dentro lo schianto
del capannone; com’è volato
nella buriana quell’angelo sfranto
a Tortolì.Come volano gli angeli che volano
dentro le tute,
che gli s’inzuppano del loro sangue;
sono alle macchine, sono alle isole,
quando s’impigliano alle catene
e gli ingranaggi coi loro sorrisi
di acciai dentati
bene li masticano,
bene li mangiano,
bene li sputano,
bene li vomitano.Volano pezzi, falangi
di angeli; volano mani,
decollano gambe,
saettano braccia:
quanto sarebbe vasto
il campo non-santo
delle tombe degli arti?
Sprizza il sangue degli angeli bastardi,
annaffia campi e hangar, nutre
pance di macchine ebbre.Come volano gli angeli migratori:
mettono ali ai loro pensieri
sciolgono vele ai desideri;
per un pane sfidano il mare;
angeli belli, angeli neri,
nessuno li vuole coi loro fuscelli;
volano dentro l’azzurra voliera,
non trovano pane, bevono sale,
saziano pesci, saziano squali
in quella liquida profondità.Oh, come volano gli angeli delle riserve
che non lavorano,
che non li vogliono,
che non li pagano,
che non consumano,
che non dimorano,
che non si lavano,
che mal si vestono,
che molto tanfano;
nei marciapiedi dormono,
nei marciapiedi siedono,
nei marciapiedi questuano,
nelle panchine ubriacano,
e negli inverni ghiacciano,
di quando in quando bruciano
e nelle fiamme crepitano
e nelle fiamme strepitano
e nelle fiamme crepano
e negli inferni involano.Com’è silente nel gelo il volo
degli angioletti di carbone e cenere:
bruciavano stracci imbevuti nell’alcol
nella baracca, per riscaldarsi.
Volano nell’ombra del cupolone
nel cielo arrossato dalla nostra vergogna,
in questa gogna grassa, la Roma empia,
che ha eletto l’oro come cuore di dio.Com’è volato l’angelo Ion
messo al servizio di un bel rottweiler,
Mema il romeno, placido e docile,
metteva il cane alla catena;
ma un giorno quel cane si è rivoltato
e ha messo l’uomo alla catena;
come volava la testa di Ion:
correva il cane figlio d’un cane,
giocava nel prato e beveva quel sangue.
Non vide il Natale mentre volava
la testa spiccata dell’angelo Ion.Oh, come volano gli angeli
che nei tralicci salgono,
che ci lavorano,
che vi si folgorano,
che vi si bruciano,
che vi si cuociono,
che poi li calano,
che poi li interrano,
che poi gli mancano,
che li ripiangono nei Ferragosti,
dentro gli odori dei loro arrosti.Come volteggiano,
quanti ne volano
e non manca giorno,
in ogni refolo,
in ogni angolo,
in ogni spasimo,
anno per anno, in ogni mondo:
come in battaglia in una tonnara,
come in mattanza a Little Bighorn!Volarono angeli di argenti, ori,
zinco, silicio, quarzo, azzurrite;
volarono angeli a Monteponi
a Trubba Niedda, Perda Majori,
al Salto di Quirra di Gerrei,
a Monte Pisano e un battaglione
nelle budelle di carbone;
erano tanti a Marcinelle:
ci fu un boato, li tirarono su,
avevano ali di grisù.Oh come volano,
volano gli angeli,
e come folano,
come s’affollano
dentro i silenzi,
dentro l’oblio,
privi di un angelo,
privi di un dio.
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