Il ritmo vitale. Henri Bergson, biologo del tempo
- Autore: Letizia Cipriani
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mimesis
- Anno di pubblicazione: 2020
“Il vero valore della filosofia è ricondurre il pensiero a se stesso."
Letizia Cipriani, laureata in Filosofia presso l’Università degli Studi di Firenze e cantante jazz e soul, con il suo libro d’esordio Il ritmo vitale. Henri Bergson, biologo del tempo (Mimesis, 2020) tratteggia la vita di Henri Bergson, ebreo, francese di adozione, premio Nobel per la Letteratura nel 1927, uno dei pochi filosofi a riceverlo, e uno dei padri dell’Unesco, ripercorrendone la biografia e i principi formativi del suo pensiero.
Studiosa e appassionata di Bergson, Cipriani è tra i fondatori dell’Unità di ricerca Qua-Onto-Tech del Dipartimento di Filosofia di Firenze, che si occupa di teoretica. È un intento lodevole della casa editrice Mimesis, nella quale Letizia è membro del comitato editoriale, quello di avvicinare la filosofia alla narrativa, pubblicando romanzi sulle esperienze e sul pensiero di grandi protagonisti quali Freud, Turing e Descartes. Una linea editoriale da condividere per i contenuti oggi più che mai, perché il pensiero filosofico, come spesso accade nei grandi eventi della storia, riesce a far comprendere a ognuno di noi ciò che ci circonda, le opportunità e la possibilità nei cambiamenti.
Bergson nacque in una famiglia ebrea e rimase ebreo fino alla fine; se avesse ripudiato e si fosse convertito al cristianesimo negli anni della Germania nazista, sarebbe scampato alle persecuzioni insieme alla sua famiglia. Gli ebrei in Francia dovettero autodenunciarsi, indossando la stella gialla così come era stato imposto dalle disposizioni del Reich. Henri, anziano, malfermo e malato, con la schiena ricurva, quasi impossibilitato a stare in piedi, ma con tutta la sua determinazione, giunse nell’ufficio preposto e davanti al tavolo dell’inquirente, con le gambe che gli cedevano, ma ritto, si autodenunciò come ebreo.
Nel periodo della malattia, l’ultimo, depresso ormai immobile e in costante ansia per il nazifascismo, si era avvicinato alla religione cattolica e a una serie di considerazioni:
"le mie riflessioni mi hanno portato sempre più vicino al cattolicesimo in cui vedo il coronamento completo del giudaismo."
Mai abiurò la sua fede ebraica e neanche a dirlo, scrive l’autrice, nel 1948, sette anni dopo la sua morte, la Chiesa Cattolica dichiarò eretiche le sue opere. Il padre polacco, musicista, allievo di Chopin e stimato da Schumann, fu costretto perché ebreo a commerciare e a risiedere in diverse città dell’Europa, Parigi, Ginevra, Londra.
È alla madre, figlia di un medico irlandese ebreo, colta e brillante, che il giovane e promettente Bergson sarà sempre molto legato.
Fin da bambino, ambizioso, brillava in ogni materia scolastica e a soli dieci anni visse da solo a Parigi dopo aver ottenuto due borse di studio, mentre i suoi genitori decisero di partire per Londra, perché la Francia non era un luogo sicuro per loro. Parigi era per Henri la sua città e sentiva di essere un cittadino francese. Uomo timido, dai lineamenti dolci, minuto, severo, occhi azzurri di ghiaccio e con uno sguardo penetrante, assuefatto alla socialità, ebbe giovanissimo l’incarico di professore di Lettere all’École: entrava in classe a capo chino e passo svelto e le sue lezioni incantavano tutti.
"Aveva un ritmo vitale eccezionalmente dinamico", scrive Cipriani. Il suo sguardo era fisso verso un punto imprecisato dell’orizzonte, perché seguiva "il flusso e il ritmo" dei suoi pensieri. In pochi anni Henri sarebbe diventato uno dei pensatori contemporanei più importanti. Divenne il filosofo dell’elemento di rottura con il positivismo nella cultura occidentale, per lui come negli stessi anni per Nietzscheriacquistò valore la coscienza come elemento spirituale fondante dell’uomo e non più la ragione. "Lo sguardo dell’uomo su di sé".
Anche il legame e la profonda amicizia che lo legò a Marcel Proust, nipote acquisito, avvalorava le sue riflessioni. Bergson lo considerò un vero e proprio genio, perché nessuno come Proust "era riuscito a descrivere meglio il movimento della memoria, del passato e dei ricordi", nemmeno lui che era un filosofo.
Grazie alle sue competenze scientifiche sui concetti spazio tempo, sulla memoria, sul linguaggio e sulla coscienza umana venne così definito "biologo del tempo".
"La questione non è stare dalla parte della scienza o dello spiritualismo, la sfida risulta esattamente la giusta integrazione di entrambe le posizioni."
La sua intuizione filosofica, "il ritmo vitale" che dà il titolo al saggio, è una vera e propria forza innovativa, coscienza e materia non più contrapposte, ma con l’intuizione e l’intelligenza uniti nello slancio vitale (evoluzione creatrice).
Bergson si allontanerà dalla sua formazione scientifica per farsi portavoce di una filosofia che assumesse lo stile della letteratura, che gli valse il conferimento del premio Nobel.
Paul Valéry, nel commemorare la sua morte, lo definì "l’ultimo grande nome nella storia dell’intelligenza europea": un uomo sedotto dalle scienze della vita, e per il quale il senso della vita era fondamentalmente spirituale.
Il ritmo vitale. Henri Bergson, biologo del tempo è un saggio illuminante sui grandi temi del pensiero, una perfetta fusione tra la storia e l’analisi scientifica di uno dei più grandi filosofi del Novecento. Una lettura consigliata!
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