Il teorema di Basaglia di Giuseppe Magnarapa

Esiste un modo per scrivere un thriller onestamente italiano, che non si limiti ad essere l’ombra del Silenzio degli Innocenti proiettato su un muro di Roma: per farlo bisogna aver immerso le mani e il viso per anni nella materia di cui sono fatti i mostri che temiamo e che il grande schermo, soprattutto negli Stati Uniti, ha imparato a ridimensionare, a rendere grotteschi per non indicarceli gretti e spaventosi come sono.

Giuseppe Magnarapa ha lavorato per decenni con gli elementi della società che noi amiamo incontrare solo nelle pagine di un romanzo noir, o ben confinati nei novanta minuti di un film. Il Teorema di Basaglia (Bibliotheka Edizioni, 2020) è il viaggio fianco a fianco di un assassino seriale, che assume le consuete sembianze di un rompicapo per enigmisti e della sfida intellettuale tra l’omicida e la lucidità di chi vuole fermarlo. Però Magnarapa arriva dove molti altri romanzieri hanno fallito: il suo passato da neuropsichiatra scolpisce la personalità di un uomo che da un capitolo all’altro smette di essere un semplice antagonista. Se il lettore non riesce a provare empatia per il criminale, può in ogni caso assistere, dalla privilegiata postazione che Magnarapa gli concede, alla genesi completa della sua follia sanguinaria.

La vicenda è ambientata negli anni ’80, sui quali incombe il peso e l’ingombro degli anni di piombo, tutt’altro che sepolti e tutt’altro che digeriti. La legge Basaglia è più che un mero esercizio dello Stato, ma diventa quasi un personaggio, con le sue lunghe ombre, con una rete di motivazioni ideologiche e politiche e con uno strascico di conseguenze che il lettore finalmente non può più ignorare.
Il Teorema di Basaglia è quindi un thriller asciutto, essenziale e che sa dove colpire.
Una lettura necessaria per gli amanti della narrativa di genere che non sentono la necessità di rifugi confortevoli.