Il tesoro segreto dei templari
- Autore: Sabine Martin
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2019
Sabine Klewe e Martin Conrath sono tedeschi, scrivono per conto proprio e qualche volta lo fanno a quattro mani, con lo pseudonimo Sabine Martin. È il caso del thrillerone storico “Il tesoro segreto dei templari”, loro primo romanzo in tandem, uscito in Italia per i tipi Newton Compton (febbraio 2019, 432 pagine la versione cartacea, 2.99 l’eBook).
La Klewe scrive da quando ha imparato a leggere e ha la passione dei polizieschi. I lettori del genere la conoscono come firma di qualità, con l’ennesimo nome de plume, Karin Sander, piuttosto noto. È la “mamma” del commissario Stadler e della psicologa criminale Liz Montario.
Conrath invece ha cominciato come batterista in varie band, prima di darsi al giornalismo e alla letteratura, narrativa noir tanto per cambiare.
Nel nome del giallo d’autore, hanno stretto un sodalizio che ha già prodotto tre titoli, due quindi in aggiunta a quello ora approdato alle nostre latitudini, un romanzo d’avventura, di valori positivi (e negativi, per contrasto) e di grandi vicende storiche. Dicono i due autori:
Non raccontiamo la storia, ma usiamo gli avvenimenti effettivamente accaduti per raccontare storie di persone inventate o anche vere.
Verità e finzione: non sono autentici i due protagonisti (Elva e il cavaliere Amiel), i cui destini finiscono per intrecciarsi, ma lo sono invece altri importanti personaggi. È realmente esistito il Gran Maestro dell’Ordine del Tempio Jaques de Molay (1243-1314). Come ha del resto operato in Francia nel 1300 il suo feroce antagonista, animato da un odio furioso nei confronti dei templari: il cancelliere del re Guillaume de Nogaret (1260-1213).
Sono veri anche parecchi luoghi, castelli e scenari citati. E sono verosimili gli sviluppi storici immaginati da Sabine e Martin, che hanno l’ottima abitudine di approfondire dettagli di vicende e questioni tuttora non chiarite. Forniscono la soluzione in una chiave narrativa che appare la più plausibile sulla base degli studi storici. Ovviamente deve anche prestarsi all’andamento del romanzo. Esempio eccellente è la vexata questio della maledizione che sarebbe stata lanciata dal Gran Maestro, contro chi aveva agito contro l’Ordine religioso-cavalleresco fondato nel 1118, dopo la prima crociata e soppresso nel 1307, ad opera del re di Francia Filippo IV, detto il Bello. I beni ingentissimi della congregazione vennero confiscati dalla Corona e i templari perseguitati, uccisi, dispersi, con la complicità del vecchio papa francese, Clemente V.
Alla condanna si sottrassero alcuni componenti dell’Ordine, con parte del patrimonio e l’intera flotta, finiti non si sa dove.
Nel romanzo la maledizione di de Molay è pronunciata sul rogo, mentre viene arso vivo, come tanti compagni d’arme, tutti innocenti rispetto alle gravi colpe falsamente attribuite ai templari (empietà, sodomia, eresia, oltraggi blasfemi contro la croce). L’anatema del Gran Maestro viene gridato in faccia al sovrano: entro un anno, tanto Filippo che la sua “marionetta” il pontefice, sarebbero finiti davanti al tribunale di Dio. Così avvenne.
Clemente spirò trentatré giorni dopo, nel letto dov’era degente. Il Bello - o anche il Falsario, com’è stato giudicato dalla storia - morì a fine novembre del 1214, per una caduta da cavallo nel corso di una battuta di caccia.
Nogaret li aveva preceduti un anno prima del rogo dei templari allestito sull’Ile de la Seine, davanti a Notre Dame. Cancelliere e prim’ancora guardasigilli di Filippo IV era stato il bieco protagonista dello schiaffo di Anagni, in complicità con Sciarra Colonna: l’offesa gravissima recata a papa Bonifacio VIII.
C’è un altro protagonista nel romanzo, il tesoro dei templari, citato nel titolo e che de Molay, impegnato nel grandioso progetto di una nuova crociata in Terra Santa (dove cristiani avevano ormai perso fino all’ultimo possedimento), affida alla custodia del leale templare provenzale Amiel del Lescaux, neanche trentenne, ma già vice maresciallo, quindi terzo in grado nella gerarchia generale dell’Ordine, per i suoi meriti e il valore.
Non staremo a rivelare nulla sulla natura del “tesoro” e nemmeno sulla liaison tra de Lescaux e la bella Elva Fleringen, brava e “snodata” (altro mistero da sciogliere nelle pagine), figlia di un ricco commerciante di spezie di Treviri e sposa per convenienza di un pessimo marito, il conte von Arras, chiuso, cupo, la faccia butterata come un rospo.
Gli autori rappresentano i templari come degli ubbidienti servi di dio, mettono in risalto le qualità superiori dei capi (Amiel legge e scrive in quattro lingue) e ricordano che all’atto dell’investitura al cavaliere templare venivano ricordate le ben 686 regole dell’Ordine da rispettare e far rispettare a partire da quel momento.
Offrono anche una loro versione sullo sputo rituale contro il crocifisso, al quale venivano obbligati i novizi accolti nella “comunanza”. Era una tradizione antica: i confratelli caduti prigionieri dei saraceni avrebbero potuto sperare nel rilascio solo fingendo di rinnegare Gesù, che non si sarebbe adirato col cavaliere, sapendo che questi aveva dovuto agire non di cuore, ma per obbedienza assoluta. Un rito d’iniziazione in una confraternita militare che verrà usato contro di loro, travisando il suo reale e non colpevole significato.
Il tesoro segreto dei templari
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