Il trono di Roma
- Autore: David Barbaree
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2018
Accade nelle primissime battute del romanzo “Il trono di Roma” di David Barbaree (Newton Compton Editori, gennaio 2018, pp. 468, euro 10,00 nella versione cartacea, euro 4,99 l’ebook): mai visto un prigioniero ridotto peggio. Marco, il ragazzino tuttofare delle prigioni di Roma, è sorpreso dal trattamento riservato a quel povero essere martoriato. I pretoriani lo hanno buttato in cella a faccia in giù. Un cencio sporco gli copre gli occhi e le guance sono rigate di rosso scuro. Ha lacrimato sangue. Le guardie hanno detto al giovane sguattero di non credere a una sola parola di quello che l’uomo potrà dirgli. Parlando di lui lo hanno chiamato col nome ancora più famoso nell’impero… è il 68 dopo Cristo, Nerone non è morto come racconta la storia, ma non se la passa affatto bene in apertura di questo primo titolo di una trilogia avviata dal canadese David Barbaree. Avvocato, con un curriculum di esperienze legali impressionante, vive a Toronto con la famiglia ed ha frequentato con profitto un corso di scrittura creativa, diplomandosi nella prestigiosa scuola britannica specializzata Curtis Brown. Da qui la sua esperienza narrativa d’esordio, con l’episodio inziale della saga neroniana , che nei Paesi anglosassoni ha per titoli Deposed (Deposto), ma che da noi potremmo ribattezzare anche vendetta.
Marco fissa il volto del recluso. Sarà lui? Accanto al laghetto., vicino al circo, c’è una statua del Dio Sole, ma tutti dicono che i lineamenti sono quelli dell’imperatore tiranno. Il ragazzo cerca di trovare somiglianze, ma il viso è troppo tumefatto, la barba incolta, i segni di sofferenza non consentono alcuna certezza.
Hanno intimato a Marco di non dedicare attenzioni speciali al prigioniero speciale. Ma l’acqua non è una cosa speciale. Gli porge da bere. Quello gli rivolge uno moto riconoscente del capo.
Undici anni dopo, Roma è sempre divisa tra fazioni. Si vive e si muore, si perde e si vince ancora più e peggio che sul campo di battaglia. L’impero è stato agitato da guerre civili ed è ancora scosso da rivolte e tradimenti. Tito, promosso prefetto del Pretorio nell’Urbe, dopo un comando fortunato in Giudea e figlio dell’imperatore Vespasiano, riflette sulla caducità dei potenti. Tiberio aveva saputo usare genialmente informatori e delazioni a danno degli avversari, ma Nerone non era stato capace di fare altrettanto. Le legioni in Spagna e in Gallia si erano ribellate, la guardia pretoriana lo aveva tradito, era stato costretto a togliersi la vita, con l’aiuto di un liberto. Negli anni, più di un falso Nerone redivivo si era fatto avanti.
Il principe Tito Flavio confronta amaramente l’individualismo dei cittadini con lo spirito di fratellanza d’armi dei soldati. In città l’avarizia è considerata una virtù e l’ossessione per lo status sociale rappresenta un valore. A Roma, un egoista che tradisce la sua parte per salire sul carro dei vincitori è premiato con una villa, terre, schiavi. Nell’esercito morirebbe di certo, perché il suo egoismo non potrebbe che recare danno a tutto il reparto. L’esercito ha bisogno di solidarietà e di unità per sopravvivere. Vorrebbe che tutti seguissero questi principi, ma non è uno sciocco, si rende conto che quello che vale sul campo può non valere nella capitale del mondo.
Le vicende del 68 e del 79 d.C. si congiungono e i destini di cinque uomini si incrociano. Uno è il leale e riflessivo principe Tito, della gens Flavia, preoccupato per le sorti dell’impero, più che per le sue stesse. L’altro è un misterioso senatore. Ha gli occhi lesionati, ma è molto ricco, anche intellettualmente. È scortato da un giovane, una guardia del corpo ma anche molto di più, che tratta come un figlio.
Nei brevi cenni storici in appendice, l’autore ricorda che Nerone perse il potere nel 68, dopo tredici anni sul trono imperiale. Era un folle, ci hanno detto gli storici antichi e il suicidio fu accolto con gioia, ma questo “non quadra”. Negli anni seguenti, almeno in tre si presentarono come l’imperatore vivo e vegeto, ma invece di venire linciati i Falsi Nerone ottenevano sostegno. Perché se il solo nome avrebbe dovuto muovere sdegno? Non era stato il tiranno che dicono?
Per David Barbaree, Nerone non è il caso chiuso che vorrebbero farci credere. E il romanzo diventa una sorta di arringa a difesa. È come se dall’alto della sua esperienza legale, l’avvocato volesse piuttosto sottoporre a processo Roma antica. Un impero enorme, per un grande trilogia, popolata di personaggi che in questo primo titolo coprono gli undici anni e più della trama. In due, sono stati giudicati a quanto sembra assolti, secondo il parere del giurista scrittore, dopo una ricostruzione attenta dei caratteri, della politica, delle beghe, delle condizioni di Roma e province, costumi e abitudini comprese.
Certo, è narrativa d’invenzione, con tante licenze da parte dell’autore, ma sulla figura di Claudio Nerone c’è da dire che David Barbaree si è impegnato ad offrire una vicenda “a suo modo” storicamente accurata, in grado di colmare i vuoti lasciati da storiografi e studiosi intorno a un periodo storico di cui poco è sopravvissuto, risolvendo le non poche contraddizioni inspiegabili, rispondendo alle domande rimaste senza riscontro e smascherando le testimonianze faziose.
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