Il violoncellista di Sarajevo
- Autore: Steven Galloway
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2008
Buffo come immagini parallele, simili, quasi identiche, possano avere due significati opposti. Non appena ho visto la copertina di questo libro, il violoncellista che suona il suo strumento in mezzo alle macerie, mi è tornato alla mente Mstilav Rostropovich, che, una volta appresa la notizia della caduta del muro di Berlino, afferrò il suo violoncello, si piazzò proprio al centro della demolizione che ancora proseguiva con rabbia e gioia e iniziò a dare un suono alla felicità. L’anonimo musicista che dà il titolo a questo romanzo, invece, con la sua musica esprime il dolore della morte, la lacerazione di una guerra insensata, che si trascina per rabbia, per puntiglio, per orgoglio, per sadismo, per qualsiasi altro stupido motivo che possa essere quello che porta avanti una guerra.
L’Adagio di Albinoni, l’ho appreso proprio leggendo questo romanzo, è stato da pochi anni disconosciuto come opera del Maestro e attribuito al musicologo Remo Giazotto, che aveva dichiarato di averlo ricostruito da frammenti autografi del musicista ritrovati nelle macerie della Biblioteca di Dresda. Forse anche questo suo senso di precarietà, di non appartenenza, unito all’idea della rinascita dalla distruzione, spinge l’anonimo violoncellista a scegliere proprio questo brano per onorare la memoria di ventidue vittime di una bomba caduta proprio davanti a casa sua, sui civili che facevano la fila per acquistare un poco di pane. Per ventidue giorni scenderà in strada, si posizionerà nel luogo esatto dell’esplosione e suonerà sempre lo stesso brano. Un’esecuzione per ciascuna delle vittime innocenti, una goccia nel mare, una minima parte della lunghissima lista delle vittime della guerra a Sarajevo. Un tributo, ma anche un modo per portare avanti la quotidianità.
Vivere, senza paura, per non morire prima del tempo: è quello che cercano di fare ogni momento i tre veri protagonisti di questo libro:
- Kenan, che ogni quattro o cinque giorni si carica in spalla un grappolo di bottiglie e affronta un viaggio di pochi chilometri, ma disseminato di pericoli e difficoltà, per procurare l’acqua alla propria famiglia e a una vicina;
- Dragan, che lavora in un panificio e deve mantenere il proprio posto di lavoro;
- Freccia, che ha soffocato il proprio vero nome e la propria femminilità per diventare una spietata assassina di cecchini, e che viene incaricata di proteggere proprio il violoncellista.
Per ciascuno di loro, la musica del violoncello, della quale all’inizio sentono solo parlare, è attrazione, stupore, risveglio, forza. E’ il pensare che esista un futuro, una vita diversa, uguale alla vita di prima, quando Sarajevo era una città come tante altre e le bombe erano una realtà relegata a qualche brutto film. L’incanto delle note è tale che anche i cecchini depongono le armi e si mettono ad ascoltare, e la città si ferma, stupita e tremula, intorno a quella mano che guida l’archetto sulle corde. Ma i ventidue giorni passano, ed è il momento, per ciascuno degli ascoltatori, di alzare la testa, di cambiare, di rinnovare la propria anima.
Come dice lo stesso autore, questo non è un resoconto storico dell’assedio di Sarajevo: è solo un modo per avvicinarsi al pensiero e ai sentimenti di tre persone, per quanto immaginarie, accompagnandole attraverso la città straziata. Crudo, delicato, essenziale, sincero, straziante, questo libro non racconta una storia, ma tantissime storie, diverse, ma unite nella tragedia di un popolo.
Il violoncellista di Sarajevo
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Ho letto il libro diversi anni fa, ed ancor oggi lo trovo di una spietata attualità. Episodi come quelli raccontati nel libro si verificano quotidianamente in parti del mondo martoriate dalla pazzia dell’uomo. Quello che mi meraviglia è che da questo libro non sia stato tratto ancora un film avendo lo stesso tutti gli ingredienti per realizzarlo.