Impiccateli!
- Autore: Paolo Brogi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2016
Cosa resta di Nazario Sauro e Cesare Battisti a cento anni dalla morte? Molte strade, qualche piazza, un silenzio freddo sui motivi del loro sacrificio, che affrontarono con dignità: erano uomini con la schiena diritta, come racconta con chiarezza Paolo Brogi nel suo “Impiccateli!” (Edizioni Imprimatur, febbraio 2016, pp. 172, euro 15,00).
Chi conosce oggi le ragioni che li spinsero, non ha tempo di fermarsi a considerarle. Chi le ignora, non ne ha modo. In più, adesso, nell’Europa unita, i nazionalismi non hanno più senso.
Erano “irredenti”, secondo un aggettivo che suona fortemente retorico, come certe scritte vergate nel ventennio a tintura nera sui muri o scolpite sui palazzi pubblici. Il fascismo, non a caso, fece di Battisti e Sauro due autentiche icone.
Era di Trento Battisti, aveva 41 anni, il 12 luglio del 1916. Di Capodistria Nazarì, come lo chiamavano in casa, trentaseienne il 10 agosto 1916. Sudditi austriaci, ma di famiglia e sentimenti italiani. Come altri avevano passato il confine, insistendo per arruolarsi ed erano ufficiali di complemento delle nostre forze armate al momento della cattura da parte dei nemici, loro connazionali fino a qualche mese prima, nella multietnica monarchia asburgica. Tenente degli Alpini il trentino Cesare, tenente di vascello della Regia Marina l’istriano, capitano di mare. Volontari, determinatissimi, nonostante la condanna a morte pendente sulle teste, da quando avevano lasciato il territorio austriaco per raggiungere la patria di elezione, prima dello scoppio della guerra.
Le loro coordinate? Molto semplici: eroi per il nostro Paese, disertori per lo Stato al quale appartenevano anagraficamente. Ultimi patrioti del Risorgimento per gli italiani, “traditori” accoliti di quel “terrorista” di Oberdan per l’impero di Francesco Giuseppe.
Catturati in azione, rispettivamente sul Monte Corno (Pasubio) e all’esterno del sommergibile Pullino, arenato alla Galiola, a Fiume. Riconosciuti, traditi, smascherati, nonostante l’identità fittizia italiana: Sauro aveva documenti a nome Nicolò Sambo. Da una parte ci fu il commovente tentativo della mamma di Nazario di non riconoscere il figlio, dall’altra sembra confermata la delazione di qualche alpino del reparto del tenente Battisti, stanco dello zelo del trentino che spingeva i suoi uomini ad attacchi sanguinosi.
Se questa è una voce, sia pure consistente, è biecamente vera la gogna pubblica alla quale lo volle sottoporre la Trento austriaca: su una carretta scoperta, come i condottati del medioevo o quelli avviati alla ghigliottina, il prigioniero venne esposto alle invettive e al lancio di oggetti dei concittadini, transitando nel centro abitato verso la sede del tribunale. Tutto documentato da immagini nitide: sedeva senza battere ciglio, ancora in grigioverde. Sui social network, qualcuno dall’Alto Adige tuttora insiste nel sostenere che lungo la strada, tra chi lo copriva di sputi e ingiurie ci fosse anche suo padre. Sta di fatto che papà Battisti non avrebbe potuto distinguersi in quell’esercizio, dal momento ch’era morto da tempo, ben ventisei anni prima.
Il processo doveva ancora iniziare e già sono fissate data e ora dell’esecuzione. La fossa è scavata, da Vienna arriva in fretta il boia, Joseph Lang, con gli aiutanti.
Insieme a Battisti era stato catturato il sottotenente Fabio Filzi, istriano di Pisino. Stessa sorte per i due irredenti: il capestro. La richiesta della più onorevole fucilazione venne respinta e in aggiunta la divisa italiana che indossavano venne sostituita con abiti civili acquistati di fretta in un grande magazzino. È così che li mostrano le dure immagini dei corpi strangolati, appesi ad una tavola. Corda anche per Sauro, che se non altro ottenne di conservare in testa il berretto.
Perfino sui loro corpi si consumò un’ulteriore campagna di vilipendio e denigrazione. Le salme di Battisti (impiegò otto minuti per spirare e in un primo tentativo il laccio si era spezzato) e Filzi vennero gettate in una fossa comune. Un soldato tirò una pietra in testa al cadavere di Cesare. Traslate in segreto, sotto falso nome, nel cimitero militare di Trento, vennero riesumate dagli italiani l’8 novembre 1918. Incomplete.
Per scoprire i resti di Sauro si dovrà minacciare il custode del cimitero della marina di Pola. Dal 1947 sono al Lido di Venezia. La tomba guarda verso l’Istria.
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