Eroi e poveri diavoli della Grande Guerra
- Autore: Paolo Brogi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2014
Nella prima guerra mondiale ai generali bastava una manciata di eroi, quello che serviva erano uomini ubbidienti come automi
È molto più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere una volta tanto, galantuomini si deve essere sempre.
Luigi Pirandello lo scriveva nel 1917, nel pieno del primo conflitto mondiale che ha prodotto qualche centinaio di eroi guerrieri, premiati coi massimi riconoscimenti al valore, soprattutto da morti e i quarantamila sventurati scemi di guerra, resi folli dalle esperienze estreme al fronte. Degli uni e degli altri si occupa il giornalista Paolo Brogi (L’Europeo, Corriere della Sera, Reporter), nel volume “Eroi e poveri diavoli della Grande Guerra”, edito da Imprimatur, 208 pagine 15 euro.
Una rassegna di prodi, una ventina, Enrico Toti e Francesco Baracca compresi. Poi, nell’ultimo capitolo, una schiera senza nome di malati di mente, piegati dall’immane durezza della prova. Quella guerra, spiega l’autore, tenne milioni di uomini in bilico, nel sentiero precario tra senso del dovere e istinto di sopravvivenza. Gli eroi scelsero di distinguersi, chi in modo cosciente, chi quasi per caso, altri perchè non potevano fare a meno di esporsi, pur sapendo di andare incontro alla morte. L’altra categoria, contraltare della scelta del coraggio, consapevole o meno, è composta dai soldati usciti di senno nelle trincee, nella terra di nessuno, sotto i bombardamenti. Un fenomeno tristissimo e poco conosciuto, l’altra faccia della guerra che portò allo scontro di milioni di contadini in Europa, che da quelli era costituita la gran massa dei combattenti di tutti gli eserciti.
In Italia, i mobilitati alle armi furono 5milioni 200mila, su una popolazione nel 1915 di 36milioni di individui, per metà donne. Tolti gli anziani e i bambini, si può calcolare che un uomo su due finì nell’immane calderone, che consumò 650mila caduti, 947mila feriti, tra i quali 21.200 privati di un occhio, 1940 ciechi, 74.620 mutilati, 120 privati di entrambe le mani, 12mila invalidi totali, 5.440 sfregiati nel volto, 6.740 sordi, 3.260 muti.
Paolo Brogi riserva il primo capitolo degli eroi ad una specialità combattente: gli arditi, il contingente di fanti specializzati nelle azioni più rischiose, particolarmente motivati e specificamente addestrati. Venivano impiegati negli assalti, ma anche nelle ricognizioni difficili e nei sabotaggi. Erano volontari, ma non mancavano tipacci e indesiderati. La guerra fu per noi una festa – ha scritto uno di loro – un posto in cui andare cantando a squarciagola, suonando e sparando, suscitando entusiasmo al nostro passaggio.
Nel giugno 1918 si passò da reparti reggimentali a due vere e proprie divisioni d’assalto. Il fascismo trasformerà l’arditismo in un mito e userà quei reduci come punta di diamante nelle imprese squadristiche, ma anche dalla parte dei “rossi” agirono gli Arditi del Popolo.
Ed eccoli i protagonisti singoli. Eroi giovani, come Roberto Sarfatti, volontario a 15 anni caduto a 17 e Alberto Cadiolo, un ragazzo del ’99 che morì sventolando un fazzoletto tricolore all’attacco del Monte Pertica, una settimana prima della fine della guerra. Eroi anziani, come Giacomo Venezian, cinquantaquattrenne maggiore della Territoriale che tanto pestò i piedi da farsi accettare in linea. Fu colpito nella “Trincea dei Morti”, alla testa del reparto. Eroi dell’aria: Piccio, Scaroni, Fulco Ruffo di Calabria. L’Italia intera vestì a lutto quando precipitò l’asso dell’aviazione, il trentenne capitano Baracca, il 19 giugno 1918, sul Montello.
Ed eroi due volte coraggiosi, perchè di nazionalità austriaca ma di sangue e cuore italiani. Battisti, Filzi, Chiesa, Sauro, che con altri irredenti scelsero la divisa grigioverde fuggendo dal Trentino e dall’Istria, sapendo che in caso di cattura li aspettava il patibolo.
Poi, gli scemi di guerra, quelli che non hanno resistito all’indifferenza alla morte che gli era stata richiesta, alla capacità di essere crudeli, di saper uccidere, di farsi ammazzare, osserva la storica Bruna Bianchi.
Padre Agostino Gemelli ha sostenuto che in quella guerra non c’era bisogno di eroi, ma di automi. Infatti, negli alti comandi italiani lo stress da combattimento, lo shell shock riconosciuto dagli inglesi, è stato a lungo confuso con la simulazione e considerato con sdegno un ennesimo ingegnoso esempio di vile finzione.
Eroi e poveri diavoli della Grande Guerra
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