In Libia e sul Carso. Memorie di guerra di un mezzadro cascianese
- Autore: Antonio Ceccotti
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2004
Antonio Ceccotti nel 1911 è in Sicilia impegnato nel servizio militare. L’esperienza è vista come un profondo estraniamento personale, dovendo il giovane stare lontano dall’amata San Casciano dove lavorava come mezzadro. Ha però imparato a leggere e scrivere e ha gli strumenti per giudicare le cose con spirito critico. Dopo l’addestramento nell’isola, c’è la partenza per la Libia; qui gli ufficiali, che si sono occupati dell’istruzione militare, scompaiono rapidamente senza salutare gli uomini e ciò spiace al giovane che si sente come un baule abbandonato in terra d’Africa.
Più che la guerriglia libica sono il gran caldo e la cattiva acqua da bere a provare i soldati; Ceccotti passa settimane ricoverato in un ospedale, posto vicino alla forca usata per impiccare i nemici. Al ritorno in Italia, dopo altre settimane, c’è il commuovente rientro a San Casciano.
La serenità non dura a lungo: nel 1915 l’Italia dichiara guerra all’Austria-Ungheria. Ceccotti è mandato sul Carso, poi combatterà ad Asiago e quindi sul Piave. Sono gli ufficiali, nei quali Antonio cerca appoggio, a deludere ancora una volta. Il capitano Pizzoni si definisce di “sangue bresciano” e “prepotenza romana”, ma sparisce ben presto dalla prima linea, similarmente ad altri capitani poco coraggiosi incontrati nei diari di Salsa e Muccini.
Un giorno una bomba cade su un gruppo di undici uomini; ne uccide nove mentre due si salvano. Uno dei sopravvissuti è Ceccotti che per quanto ferito, non viene fatto evacuare in ospedale dal medico che spiega di non poterlo fare a causa di certe severe disposizioni ricevute. Si giunge alla tragedia di Caporetto. Il diarista assiste al marasma generale; su un prato vede una donna partorire mentre accanto alcuni sbandati si dividono il bottino di un saccheggio.
La guerra prosegue lungo il Piave dove il giovane di San Casciano opera ora come sergente e addetto all’osservazione del tiro delle mitragliatrici. Nel giugno 1918 c’è l’ultima offensiva asburgica e Ceccotti viene catturato vicino al fiume. Deve passare cinque mesi nei territori del nemico, ormai prossimo al crollo.
Nel primo campo di prigionia vede sentinelle sprofondare nelle garitte, prostrate dalla fame. Scrive varie volte a casa chiedendo viveri, ma non arriva nulla. Viene spostato in altri due campi; il trattamento alimentare peggiora. Ogni uomo ha un quindicesimo di pane; inoltre ai prigionieri vengono assegnati dei numeri, pratica spersonalizzante che nella Seconda Guerra Mondiale raggiungerà apici di enorme gravità.
Nell’ultimo campo, in Dalmazia, gli italiani sono duramente impegnati nel lavoro in una cava; il poco cibo deve essere integrato da quanto si recupera di nascosto nelle campagne. Ceccotti, colto sul fatto, viene condannato a otto giorni di cella di rigore, a rancio dato a giorno alterni. Si sopravvive solo grazie alla solidarietà dei compagni. Finalmente la guerra finisce e i prigionieri tornano in nave in Italia. Interrogati dalle autorità sulle modalità della loro cattura, vengono poi congedati.
Antonio ha svolto con cura i suoi compiti stando in prima linea, per quanto critico verso il conflitto e i soprusi della vita militare (“la camorra quotidiana”). Ci tiene a dire che è un soldato che pensa; capisce che non è accettabile una vita di soli doveri e priva di diritti. Solo l’istruzione può risollevare le persone di umili condizioni, così maltrattate nella vita civile come in quella militare. Ne è convinto il mezzadro che in trincea legge gli articoli dell’inviato del Corriere Barzini e che poi sposerà una maestra. Nel 1946 diventerà assessore all’istruzione nel suo comune e si adopererà con successo per far aprire una scuola professionale dove prima sorgeva la locale Casa del Fascio.
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C’è un errore nel testo non era di san Casciano ma di Casciana Terme!!! Lo so perché io sono sua nipote. Grazie se potete correggere!