Ingegneri di anime
- Autore: Frank Westerman
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Iperborea
- Anno di pubblicazione: 2020
“I nostri carri armati non valgono niente se le anime che devono guidarli sono argilla. Per questo dico: la produzione delle anime è più importante di quella dei carri armati”. (pagg. 50-51)
Così parlava Iosif Stalin. È una sera di ottobre del 1932, a casa dello scrittore Maksim Gor’kij. Ci sono vodka, vino e zabuski in abbondanza e ci sono altri scrittori come lui, come lui chiamati a plasmare lo spirito dei sovietici. Stalin e la Russia post-rivoluzionaria necessitano di un nuovo corso culturale: occorre sostenere il “piano quinquennale”, occorre incentivare, forgiare, motivare contadini e operai, e occorre farlo attraverso un’estetica proletaria incentrata sulla produzione e sulla costruzione.
Così il lavoro forzato dei Gulag contribuisce a edificare monumentali opere idraulico-ingegneristiche, espressioni di un socialismo inarrestabile, muscolare, capace di domare persino la natura ingenerosa del territorio sovietico. Un’infinita teoria di canali, impianti su impianti di desalinizzazione dell’acqua di mare, innumerevoli deviazioni di alvei fluviali.
Bisogna però che se ne scriva. Che nei libri e nei romanzi sovietici di tutto questo se ne faccia apologia. Quando a Frank Westerman viene l’idea di scrivere Ingegneri di anime (Iperborea, 2020, traduzione di F. Paris) siamo ai giorni nostri. Westerman ha appena ultimato la lettura del Kara-Bugaz di Konstantin Paustowskij sull’eliminazione dei deserti ed è interessato al rapporto che passa tra artisti e potere. Alla luce della sua esperienza giornalistica come inviato a Mosca, intende impegnarsi in un saggio narrativo che rintracci, se possibile, il punto esatto in cui le istanze creative intersecano il dovere dettato dalla Causa, lo slancio artistico quello ideale.
“Quando, l’anno scorso, ho raccontato che stavo lavorando a un libro sugli scrittori sovietici, i miei interlocutori mi guardarono con compassione. ’Boy meets tractor’ è l’adagio ricorrente per le lettere sovietiche. D’accordo, cosa può esserci di appassionante dietro un titolo quale potrebbe essere Quando fu temprato l’acciaio? Nelle opere di riferimento occidentali ricorre sempre lo stesso giudizio: l’unica letteratura dell’Unione Sovietica che rimarrà nei secoli è quella clandestina, proibita, sequestrata, ricopiata a mano, fatta passare di contrabbando in Occidente o mai pubblicata. I libri con il nulla osta della censura sovietica, al confronto, tranne una manciata di eccezioni, fanno una ben misera figura (…) In questo libro non ho voluto usare alcun criterio fondato su una conoscenza acquisita a posteriori. Mi sono lasciato trasportare dalle attese e dalla nuova generazione di scrittori sovietici. Più ancora dei pensatori tenaci e irriducibili (Michail Bulgakov, Daniil Charms, Anna Achmatova, Josif Brodskij) mi affascinavano i compagni di strada più o meno accomodanti, i convertiti, i rinnegati e gli scettici. Forse perché i loro dilemmi e le loro debolezze sono così riconoscibili”. (pagg. 356-357)
Ne è scaturito un saggio di taglio lineare e contenuto denso. Un excursus storico-socio-letterario di impronta oggettiva, che interseca vita privata e progetto collettivo di quegli scrittori arruolati da Gor’kij a farsi “storiografia istantanea del socialismo”. Il novero di autori - più o meno capaci, più o meno allineati e/o tormentati (Platonov, Paustowskij, Pil’njak) - votati al nuovo corso dell’Unione Sovietica. Adesso non saltate dalla sedia, ma non dei soli libri (spesso pregiudiziali) di Aleksandr Isaevič Solženicyn è fatta la contro-storia letteraria dell’URSS.
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