L’Italia di Dante. Viaggio nel paese della Commedia
- Autore: Giulio Ferroni
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: La nave di Teseo
- Anno di pubblicazione: 2019
Da tempo pensavo di fare un viaggio dantesco: tornando ogni volta alla lettura della “Commedia” o al semplice ricordo mentale di qualche verso o terzina, venivo ogni volta catturato dal modo in cui essi danno esistenza ai luoghi, li fissano in un’assoluta presenza che è tanto più urgente quanto più è data da una voce che reca in se il segno della distanza; voce lontana, in cui si addensa un altro tempo, l’eco di ciò che era il mondo quando essa si pronunciava.
Così Giulio Ferroni, italianista e professore emerito dell’Università di Roma La Sapienza, battezza nelle righe inaugurali il suo L’Italia di Dante. Viaggio nel paese della Commedia (La nave di Teseo, 2019).
Un viaggio ispirato da un desiderio urgente e al contempo sedimentato nel tempo e nella memoria, a lungo covato nel “libro della mente” prima di realizzarsi nelle pagine di un libro a stampa. Desiderio, innanzitutto, di tornare, mediante i luoghi di Dante, a Dante stesso percepito come luogo centrale di una memoria e di un’ispirazione che risale alla giovinezza e alla prima intuizione di una poesia come esperienza assoluta e totalizzante, capace di:
Dire l’essenziale, di toccare fino in fondo il senso e le ragioni dell’esistere.
Tornare a Dante inoltre è un modo per “sfuggire alla inessenzialità e all’inconsistenza di tanta letteratura di oggi”, ed è l’occasione di ritrovare le vere ragioni della grande letteratura, di contro alla sua attuale marginalizzazione; alla lotta contro di essa condotta da tanti officianti della pedagogia, dell’economia, delle tecnologie vecchie e nuove; e in particolare della grande letteratura e della lingua italiana, sempre più trascurata nella scuola e “schiacciata negli usi correnti dal dominio imperiale dell’inglese”.
Il viaggio dantesco acquista dunque per Ferroni (e per quanti, lettori simpatetici e congeniali, ne seguiranno di capitolo in capitolo i passi e gli spostamenti) il rilievo di un percorso di ritorno alle radici: di una civiltà e di un sentimento, ancora vitale e sacro, della realtà.
Non pare casuale, del resto, l’utilizzo nel sottotitolo, del termine “Paese”, come a evidenziare, rispetto alla geografia onnicomprensiva e astraente dei domini attuali della mondializzazione, economica e culturale, il bisogno urgente di uno spazio comunitario e riconoscibile, più ristretto geograficamente ma ancora identificabile e partecipabile; che serba ancora nel suono dei nomi e nel paesaggio la consistenza e il profilo di quell’ "umile Italia” evocata dal poeta fiorentino fin sulla soglia del suo poema.
Il “bel paese là dove il sì suona”; innescando quella coincidenza, sentimentale oltre che morale, tra lingua, storia e spazio riecheggiante nelle vene e nelle arterie di quel grande corpo vivente che è il corpus della Commedia come lo stigma di un’identità nazionale e civile smarrita, e che per secoli soltanto nella letteratura ispirata dai più elevati valori civili e nella visionarietà utopica dei grandi autori italiani (da Petrarca a Machiavelli, a Leopardi e Manzoni), ha trovato un luogo eletto in cui confermarsi e consistere, in spregio alla cecità e agli opportunismi contingenti della politica.
Da questa unità ed estrema tensione del pensiero sembrerebbero originare le narrazioni di queste pagine di viaggio (congeniali per molti rispetti ed evocative di un consolidato e suggestivo filone letterario di cui potremmo richiamare, tra gli esemplari più recenti e felici, Un viaggio in Italia (Einaudi, 2014) di Guido Ceronetti e i reportage del giornalista e scrittore Paolo Rumiz), in un flagrante equilibrio tra ricerca e osservazione di luoghi monografici accuratamente scelti e rivisitati secondo un progetto e una scaletta prestabiliti; e l’attrito con i territori dell’imponderabile, dell’imprevisto, che orienta il percorso verso coordinate ulteriori, esponendo il viaggiatore-pellegrino a nuove possibilità di visione; trasformando un passo dopo l’altro il viaggio in una flanerie incessante: una contemplazione arricchita e corroborata dal dinamismo concreto del movimento, che dallo spazio fisico sconfina in quello mentale, apparentemente immobile, della coscienza.
Il cammino, che comincia da Napoli, ritualmente dalla tomba di Virgilio, giacché è “nel segno di Virgilio che prende avvio e si svolge la scrittura del poema”, via via si dispiega da Firenze alla terra di Trinacria, attraversando la Romagna e il Casentino, il basso Lazio e il versante tirrenico, sconfinando nella terra dei Sardi, in una paesaggio stratificato dal tempo in cui antiche vestigia si mescolano a costruzioni moderne.
Una sorta di disseminazione e sparpagliamento di quei miti dell’origine, quasi una loro bislacca contaminazione con i mille brandelli di una periferica modernità.
Un viaggio che Ferroni ha affrontato con l’entusiasmo e la fatica di un viaggiatore diurno e notturno, per tappe, con spostamenti e movimenti in macchina e a piedi, impegnativo e faticoso. Attraverso questo viaggio Giulio Ferroni, conclusa la sua lunga esperienza di insegnamento e messosi alle spalle il tempo della burocrazia, ha saputo riappropriarsi del tempo prezioso, interiore, della coscienza, riscoprendo inoltre la concretezza della geografia intesa come "conoscenza dei luoghi, della loro specifica collocazione".
Ed è qualcosa che si sta perdendo, nel mondo contemporaneo:
Mentre le grandi e i giovani sembrano sempre più ignorarla e tanti intellettuali si lasciano si lasciano prendere da fantasie di alleggerimento dello spazio, di una presunta simultaneità, trasversalità, ubiquità disegnata dalla sua virtualizzazione informatica.
Pertanto, alla luce consapevole di tutte queste riflessioni, il viaggio dantesco, nell’intreccio di tempi e luoghi, di spazi fisici e memoriali, di visione e rimemorazione, si sviluppa tra cartografie, corografie, idrografie di un’Italia reale e immaginaria, post-moderna e remota, che come un antico palinsesto rivela sotto la scrittura in superficie lampi di una scrittura più profonda che le rasure del tempo e dei cronisti vanamente hanno occultato.
Di questa bellezza invisibile che si cela tra i meandri e le contraddizioni del tempo, di esse stesse nutrendosi, e all’improvviso riaffiorante al cospetto del visitatore, del suo sguardo prensile e vorace (non diversamente , parrebbe, dalle anime dell’oltretomba che si accostano al poeta per parlargli, risvegliate dalla sua presenza) si alimentano i fuochi della narrazione, con un ritmo assorto e vivace, che alterna movimenti e attese, pause contemplative e repentine illuminazioni.
Memorabile, a tal proposito, la descrizione del paesaggio ravennate, ultimo approdo del poeta negli anni dell’esilio, che via via trascolora, con una prepotenza e levità che solo la poesia sa creare, sullo sfondo dello stesso paesaggio, cangiante e polifonico, nei versi di una celebre lirica montaliana.
A noi non resta che esercitare, godendone a pieno le suggestioni, il raro privilegio del lettore: viaggiare sconfinatamente con le ali dell’immaginazione, percependo la fatica del viaggio e della conoscenza, senza staccarci da quel centro - quel lago del cor direbbe Dante - in cui vita e poesia, coincidono in un’impressione di durata, di eternità.
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