L’animale notturno
- Autore: Andrea Piva
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Giunti
- Anno di pubblicazione: 2017
Se già in esergo inciampi in una sentenza di Louis-Ferdinand Celine significa che stai per leggere un romanzo sulla fine del mondo, meglio: sull’estinzione dell’uomo. Significa che stai per finirci dentro senza scampo. Se c’è di mezzo Celine come patrono di scrittura, potete giurarci che pagina dietro pagina, andrà così: giri a vuoto, nichilismi a perdere, ghigni amari, vitalismo mortifero, e disincanto. Quantità industriali di disincanto. “L’animale notturno” di Andrea Piva (Giunti, 2017) non sbugiarda la premessa. Nonostante Roma, bella e corruttibile da far male. Nonostante il cinema. Nonostante i festini. Nonostante i soldi (fiumi di soldi). Nonostante le ragazze della notte, altrettanto belle, corruttibili (da far male) e mortifere a loro volta: la vasta ombra dello svilimento valoriale si spande in controluce sul romanzo e l’universo-mondo che ci sta dentro. Senza remore né edulcorante alcuno. A questo punto credo mi tocchi togliervi la curiosità e citare a mia volta lo stralcio di propedeutica celiniana che anticipa l’inizio del romanzo. È questo:
“I ricchi sono sempre lì che aspettano di ereditare e di derubarci, delle nostre ore, della nostra vita (…) D’altra parte, i poveri non sono che delle scimmie gabbate, feroci e disgustosi proprio come i ricchi”.
Adesso ci arrivate da voi che homo homini lupus altro non è che un eufemismo, e che l’epitaffio sostiene a dovere l’idea di fondo di questo romanzo, ferocemente lieve nella forma e scurissimo nella sostanza. Un romanzo senza santi (figuriamoci!) e nemmeno anti-eroi (almeno ce ne fossero di anti-eroi). Uomini e donne che scalpitano in cerca di dolce vita & grande bellezza - o se non altro dei loro succedanei remunerativi -, di contro quanti ne vuoi. Il popolo trasversale e tragicomico di pre-depressi, rosiconi, vecchie e nuove glorie, vecchi politici, tiratardi, tira-coca, biscazzieri d’alto bordo, badanti d’alto bordo, orgiastici per noia e vocazione, nullafacenti, agenti immobiliari che sembrano Mastroianni, artisti per statuto, post-tutto, post e basta.
Che poi Vittorio (l’io-narrante del romanzo), gratta gratta sarebbe pure un gran bell’idealista. Scrivendo sceneggiature, a soli trent’anni, si è fatto strada nel dorato mondo del cinema. Non avesse rotto il naso al regista con cui lavorava, le cose non sarebbero precipitate come sono precipitate, andando cioè di male in peggio. Soprattutto se fare soldi è il solo vangelo in cui credi e vivere oltre le tue possibilità il suo ripasso apocrifo. Alla luce di tutto ciò “L’animale notturno” è un romanzo di tarda-formazione, alti e bassi di una avventurosa parabola esistenziale: prima ascendente, poi di botto discendente, quindi di nuovo ascendente, in ambito imprevisto e appagante solo in apparenza. Proprio quando è a un passo dal cedere al fallimento economico - e il ritorno alla natia Calabria è molto più che un’ipotesi - Vittorio (nomen omen) la sfanga, infatti, incrociando un senatore della Repubblica ottuagenario col demone del gioco, e sperimentandosi con successo nel munifico settore dei casinò online. Un po’ per caso un po’ per necessità l’uomo di pensiero si trasforma così in esperto di statistica e calcolo delle probabilità, i ferri del mestiere del vero professionista del tavolo da gioco. Segue finale in agrodolce che non vi svelo, in quanto non è la cosa più importante di questo romanzo insolito e dialettico.
Sorretto da una prosa interiore simil-classica, che non stanca per via dell’appeal cinematografico, a tratti avvincente. Il fatto che Andrea Piva sia a sua volta uno sceneggiatore pluri-premiato e dal 2009 un giocatore di poker professionista tra i più accreditati della scena online internazionale, non vi autorizza ai cattivi pensieri. Anche Flaubert diceva “Madame Bovary c’est moi” ma mica se ne andava in giro in trini e merletti struggendosi d’amore per Léon Dupuis e/o Rodolphe Boulanger, non vi pare?
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