L’enigma del gesuita
- Autore: Andrea Frediani
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2019
Mantelli e cappe al posto della lorica legionaria, il fioretto invece del gladio. Andrea Frediani ha scelto il XVII secolo per il nuovo thriller in costume, da spadaccino stavolta, non da guerriero romano. È ambientato nella prima metà del 1600 il lavoro più recente dello scrittore romano, L’enigma del gesuita (agosto 2019, 352 pagine, 9.90 in edizione rilegata, solo 1.99 la versione eBook), pubblicato da Newton Compton come i precedenti, tanto romanzi che testi e saggi su armi e soldati.
Moschettieri: facile evocare i contesti dumasiani per questo prodotto del sempre attivo autore capitolino, che stavolta si allontana dall’antica Roma per approdare alle tenebrose atmosfere dell’Europa preilluministica e anche del Medio Oriente. Non a caso, uno dei protagonisti, nel ruolo di tessitore di trame insidiose ad ampio respiro internazionale, è quel cardinale Armand-Jean du Plessis de Richelieu (1585-1642) che i lettori conoscono soprattutto come antagonista irriducibile di D’Artagnan e degli altri tre “tutti per uno, uno per tutti”. Si ricorderà che l’importante religioso complottava ai danni della regina Anna d’Austria, consorte del re di Francia Luigi XIII, di cui il prelato era primo ministro.
Ecclesiastico di carriera ma soprattutto politico e statista, il porporato parigino viene presentato col volto scavato, il pizzetto, i baffi larghi con le punte all’insù, insomma la classica immagine ricavata dai dipinti d’epoca e riprodotta più o meno fedelmente nelle tante pellicole e fiction dedicate alle avventure dei moschettieri del re e dei rispettivi avversari.
È anche qui uno degli uomini più potenti e raffinati d’Europa, esercita il potere senza scrupoli, non esita a compiere scelte che possono danneggiare la Chiesa. Si comporta innanzitutto da politico e diplomatico, la ragione di Stato primeggia di gran lunga sulla scala di valori dell’uomo di preghiera. A Roma si dice che nessuno stia recando danni al mondo cattolico più di lui, che in un’Europa in guerra dà sponda ai luterani, nel complesso gioco di alleanze.
Il cardinale interpreta nel romanzo il ruolo che gli è più congeniale. La sua figura, però, è schiacciata da quella carismatica del numero uno assoluto di queste vicende raccontate da Frediani. Un personaggio riuscito, un protagonista, un uomo di scienze, di cultura enciclopedica, un inventore geniale. Per un verso, un Leonardo da Vinci del XVII secolo, come lo considera lo scrittore romano, mentre sotto altri aspetti, prettamente investigativi, si direbbe uno Sherlock Holmes del 1600, 1634 per la precisione, l’anno in cui prende avvio il romanzo.
È il gesuita tedesco Athanasius Kircher, docente di svariate discipline, matematico, studioso d’ogni materia, dotato di conoscenze che lo avvicinano a un alchimista dei tempi bui della storia e con un talento che si estende alla sfera esoterica. Sguardo penetrante, occhi scuri e profondi, volto rotondo, pelle chiara come il latte, tipica della sua gente. La barba ispida, venata di bianco, conferisce al volto un’espressione penetrante. Tutto lui esprime autorevolezza.
A dare una prova delle superiori capacità logico-deduttive, basta il primo incontro con lui nel romanzo. La sola comparsa del messo papale, nell’aula in cui sta intrattenendo venti studenti del Collegio Romano sul Teorema di Pappo d’Alessandria, basta al geniale docente per ottenere un profilo dello sconosciuto, giunto a comunicargli che il pontefice ha necessità di conferire con lui.
Athanasius coglie al volo che proviene dal Vaticano: lo porta scritto addosso, spiega allo stupefatto messaggero.
Siete un chierico e visibilmente sudato, ma non indossate vesti adeguate ai frequentatori del Collegio, quindi siete qui per svolgere un incarico per conto di qualcuno importante. Avete l’abito spiegazzato, il che rende probabile che siate passato attraverso la folla della processione in corso sul Ponte Sant’Angelo e dintorni. C’è un’alta percentuale che proveniate dal Vaticano, no?
Kircher deve tanto al papa. Urbano VIII ha indotto tutti a tollerare le attività del gesuita non in linea coi dettami del Concilio di Trento. Ed ora è proprio sua santità Barberini ad informarlo che in un momento delicato per la Chiesa, minacciata dai luterani non ostacolati da Richelieu, un misterioso copto si sia dichiarato in possesso della traduzione in greco e demotico di un’antica stele egizia. Ne ha dato anotia in una lettera giunta da una città sul Nilo, Rosetta. La decrittazione dei geroglifici consentirebbe di risalire al sapere trasmesso da Dio ad Abramo e garantirebbe ai cattolici il vantaggio di un potere enorme.
Ad Urbano poco importa che la lettera dall’Egitto sia stata scritta da un cabalista, disciplina vietata ai cristiani. Non è sfuggito ovviamente all’orientalista alsaziano, che viene incaricato di recarsi sul Nilo a rintracciare l’uomo, prima che lo facciano altri.
Per Kircher è l’occasione di accostarsi al sapere universale che insegue da decenni. Quel testo tradotto è la via della conoscenza. Ha però bisogno di un compagno di viaggio e non trova di meglio di Antonio, il garzone di tipografo che si offre al geniale professore perché questi gli sembra il solo capace di risolvere il mistero del crudele omicidio nella sua ragazza, pugnalata allo stomaco da qualcuno che le ha inciso una “A” sul petto.
Sangue e ferocia ricorrono costantemente in questo romanzo e sembrano preferire le donne come vittime. Gran brutta faccenda.
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