L’imbroglio dello sviluppo sostenibile
- Autore: Maurizio Pallante
- Genere: Politica ed economia
- Casa editrice: Edizioni Lindau
- Anno di pubblicazione: 2022
Maurizio Pallante si definisce un eretico e un irregolare della cultura. In realtà da professore di lettere ed esperto di economia ecologica e tecnologie ambientali, riesce a coniugare i significati anche più profondi di ogni termine o definizione con le sue conoscenze in merito all’innovazione e alla tecnologia, facendoci riflettere su argomenti che superficialmente, a volte ci “trapassano” troppo velocemente.
E da colui che nel 2007 fondò il Movimento della Decrescita felice italiano non potevamo non aspettarci qualcosa di “irregolare” sul grande e attuale tema dello sviluppo sostenibile e sul climate change, come dimostra quest’ultimo libro L’imbroglio dello sviluppo sostenibile (Edizioni Lindau, 2023).
Già con il suo Monasteri del terzo millennio (Lindau) del 2013 e fino a Ultima chiamata (Lindau) del 2021, passando per altri suoi libri e saggi, Maurizio Pallante ci proiettava in dimensioni apparentemente surreali, quasi distopiche; abituati allo sviluppo inteso come crescita industriale a tutti i costi per l’ottenimento del benessere e della felicità tramite i consumi, poteva apparire strano ai più il concetto di decrescita selettiva se non addirittura “felice”, diversa dal concetto di recessione.
Oggi la nostra prospettiva è cambiata: la pandemia, la crisi energetica ed economica, la guerra, ci offrono codici interpretativi della realtà alquanto diversi. Ci deve infatti far riflettere quel concetto che Pallante iniziò a diffondere e che solo oggi risulta sempre più diffuso e di interesse collettivo: l’esigenza della “riduzione” ovvero della “non crescita” a tutti i costi per ottener il “meglio” e non il “di più”.
Parliamo di necessità assolute e impellenti come la “riduzione delle emissioni climalteranti”, la “riduzione delle ppm di anidride carbonica”, la “riduzione delle temperature”, la “riduzione dei consumi energetici”, la “riduzione del costo dell’energia”, la “riduzione dei beni superflui e dello spreco”, la “riduzione del consumo di suolo e di acqua” e degli allevamenti intensivi, degli incendi, del dissesto idrogeologico, della cementificazione e così via. Al contempo parliamo di riduzioni in atto da rallentare al più presto se non da bloccare completamente: della biodiversità, della superficie dei ghiacciai, della scomparsa foreste e dei suoli agricoli.
Appare evidente che parliamo in un caso e nell’altro di “decrescita”.
Una decrescita tuttavia necessaria che si contrappone alla crescita intesa come sviluppo (o falso sviluppo) coincidente con l’aumento dei beni e dell’offerta, alla quale la domanda deve rispondere, anche quando si tratta di prodotti inutili, oppure superflui o fintamente innovativi o “più moderni”.
Secondo Pallante l’imbroglio dello sviluppo sostenibile sta proprio nelle locuzioni. Si dovrebbe parlare di sviluppo durevole che risulti sostenibile non solo nei confronti delle generazioni future in termini di risorse (per come declinato per la prima volta durante la COP 21 di Parigi nel 2015) ma sostenibile in quanto auto propulsivo nel tempo ed ecologicamente valido con il blocco dello sfruttamento completo delle risorse naturali, da non considerare più come mezzi o strumenti di crescita economica (risorse per l’appunto) ma come fattori ambientali facenti parte degli ecosistemi umani. Ecosistemi che si possono autogenerare, così come avveniva un tempo, nel rispetto di quel grande equilibrio tra tutto quanto l’uomo sottrae per vivere e i limiti atti a non defraudare la natura, consentendole di rigenerarsi e contribuendo a ciò.
L’imbroglio si sostanzia nella finta economia circolare, nell’utilizzo di tecnologie per l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili che invece dovrebbero essere più efficienti ed efficaci e durature, nella prosecuzione della produzione di beni che si continuano a comprare anche quando non servono o con obsolescenza programmata aumentando l’inquinamento e lo spreco in generale, nel chiamare gas naturale il metano la cui combustione a fini energetici produce anidride carbonica ed effetto serra, nel chiamare cambiamento climatico il riscaldamento globale e tutti i suoi effetti, nel chiamare termovalorizzatori gli inceneritori, nel chiamare “tassonomia verde” la classificazione che comprende il nucleare, il metano e lo stoccaggio di anidride carbonica, nel chiamare “parchi“ le aree in cui i tralicci eolici sovrastano il paesaggio, le nere pianure fotovoltaiche, le aree con gli scarti minerari all’aperto (parchi minerari), i futuri depositi nazionali di scorie nucleari (parchi tecnologici). Ma soprattutto appare chiaro che non si può più parlare di crescita infinita (con risorse di tipo finito) e di sviluppo “sostenibile” quanto la crescita a tutti i costi e reale è tale da non poter garantire più la “sostenibilità” ovvero il rispetto dell’ambiente e dell’uomo destinato così facendo all’estinzione. La crescita economica e lo sviluppo industriale hanno cioè superato i limiti della sostenibilità ambientale e i casi e gli esempi di “green washing” sono e saranno sempre più all’ordine del giorno.
Il concetto stesso di PIL (Prodotto Interno Lordo) è sbagliato e lo ribadisce ancora una volta Maurizio Pallante assimilando in questa pubblicazione l’”imbroglio del PIL” all’”imbroglio sullo sviluppo sostenibile”.
Il PIL procapite, che viene considerato un indice di crescita e sviluppo è la somma di tutte le spese effettuate in un Paese suddivisa per il numero dei suoi abitanti. Purtroppo il PIL (“misura del valore di tutte le merci e i servizi finali di nuova produzione di un paese in un anno”) non tiene conto solo delle spese atte a vivere ma anche delle spese superflue e delle spese che in realtà hanno a che fare con ben altro (ad esempio le spese sanitarie, ospedaliere, farmaceutiche, assicurative) e non tiene conto per esempio degli scambi che avvengono e possono avvenire tra comunità come un tempo era il baratto o di tutto quanto attiene la qualità della vita.
Per cui il PIL fondamentalmente non è un indice di reale sviluppo di una popolazione o di un territorio, ma un indice di crescita dei consumi e dello sviluppo industriale irrefrenabile.
Lo sviluppo economico ha portato inevitabilmente a superare i limiti della sostenibilità ambientale diventandone distruttore e non fattore. Lo sviluppo economico coincide necessariamente con l’insostenibilità ambientale così come lo sviluppo sostenibile è un concetto diverso da quanto esprime il termine “sostenibilità”.
Affinché torni a essere sostenibile occorre ridurre il consumo delle risorse, le emissioni di sostanze di scarto, la produzione e l’uso di sostanze di sintesi chimiche inquinanti e aumentare l’efficacia delle tecnologie costruttive-produttive e di ottenimento di energia rinnovabile. Una de-crescita (selettiva e governata), dei consumi, degli sprechi e delle inefficienze atta a ridurre l’impatto ambientale e quindi il cambiamento climatico, facendo uso di fonti rinnovabili che però sono indispensabili ma insufficienti da sole se non associate alla riduzione dei consumi di tutti i tipi.
Per rientrare nei limiti della sostenibilità ambientale, abbondantemente superati dall’uomo a causa dello sconvolgimento degli equilibri naturali dovuti alle combustioni e alla riduzione di superfici verdi in pochi secoli, occorre secondo Pallante: ridurre le emissioni di CO2 generate dalla produzione e dal consumo di merci; ridurre la quantità di risorse rinnovabili consumate annualmente, in quanto insufficienti; ridurre i processi che impoveriscono la biodiversità; smettere di produrre sostanze di sintesi chimica che non possono essere metabolizzate dai cicli biochimici naturali ovvero biodegradabili; smettere di ricoprire con materiali inorganici come il cemento superfici sempre più vaste del pianeta; potenziare il livello di fotosintesi clorofilliana ricostituendo boschi e foreste e ripristinando i sistemi agrari estensivi; aumentare la sostanza organica nel suolo
Occorre pertanto un cambio culturale e antropologico, così come auspicato anche dagli scritti di Papa Francesco come ci ricorda Maurizio Pallante. Occorre che le esigenze materiali e il loro soddisfacimento che offuscano la dimensione spirituale e contemplativa dell’uomo, nonché la dimensione della solidarietà all’interno delle comunità (diverse dalla “società moderna”), non vengano più percepite come l’unico strumento per ottenere la felicità e il benessere.
Tale consumismo, con apparenti effetti positivi effimeri e di breve periodo, unitamente alla crisi ecologica e a causa della differenza di opportunità offerte ed esistenti, ha già minato l’equità tra popoli e tra cittadini dello stesso Stato. Oggi sta mettendo a rischio la specie umana e la sua stessa sopravvivenza.
L'imbroglio dello sviluppo sostenibile
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